Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
(WSI) – Che lezione trarre dal venerdì
nero delle quattro ruote?
La sbandata dell’auto certifica,
in forma ufficiale, il contagio
della crisi finanziaria al
mondo dell’economia reale. E
la fine di un’illusione, quella di
poter contenere la crisi entro i
recinti delle banche, delle Borse
o dei derivati più esotici che
forse ha fatto perdere settimane
preziose alla Fed o alla Bank
of England, dove si è sperato di
far pagare il conto alla speculazione
senza intaccare un meccanismo
sano.
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Anche in casa Fiat, ieri sera,
si parlava di speculazione per
giustificare la frenata, anzi il
crash, del titolo. Insomma: il
gruppo è solido, i target saranno
rispettati. E quel che capita
in Borsa è una follia. Ma nella
follia di Piazza Affari, c’è quasi
sempre del metodo.
Nel mondo a quattro ruote, all’inizio
dell’anno bisesto, il quadro
non è allegro.
1) Il mercato Usa, ingolfato
dalle vendite rateali, si avvia a
un anno molto difficile. Cosa
che, senz’altro, renderà assai
più difficili le cose in Europa
perché sia i tedeschi sia i giapponesi
cercheranno di compensare
i fatturati Usa nel Vecchio
Continente. Magari sfruttando
l’effetto rottamazione.
2) La frontiera delle quattro
ruote si è spostata verso gli
emergenti. I big ci sono tutti, in
Russia, Cina e India. Inoltre, a
Shanghai, è appena nato un
gruppo leader, che possiede tra
l’altro un marchio come Mg. Tata
l’indiano fa shopping di auto
di lusso, come Jaguar, ma s’accinge
a lanciare, al salone di
New Dehli, la low cost da meno
di duemila euro. E la Fiat, con
l’importante eccezione del Brasile,
rischia di far da comprimaria.
E i programmi in Cindia rallentano.
Anche in India, dove
tarda la produzione dei diesel
Jtd (e gli annunci attesi a New
Delhi sono poca cosa) come in
Cina dove si arriverà, se tutto
va bene, solo a fine 2009.
3) Quest’anno Renault lancia
nove modelli; Volkswagen la
nuova Golf; Toyota consolida la
sua leadership negli ibridi. E così
via. La Fiat? Intendiamoci, il
bicchiere può esser mezzo pieno
o mezzo vuoto. Ma, dopo tanti
brindisi, oggi gli analisti guardano
solo al mezzo vuoto e dubitano
che Fiat riesca a centrare
il «3 per 300mila», cioè 300.000
Alfa vendute nel 2010; 300.000
Fiat vendute in Cina; 300.000
Lancia piazzate in Italia. Di qui
i dubbi sui 5 miliardi di utili entro
il 2010.
4) Meno utili, meno investimenti.
Ovvero tempi più lunghi
per nuovi modelli, nuovi motori,
nuovi sforzi sulla rete commerciale.
Un circolo vizioso che
la «500», l’unico vero successo,
non può spezzare da sola.
5) Si appanna il mito di Marchionne,
così credibile per aver
sempre centrato o anticipato i
programmi. Certo, può consolarsi
con le stock option (prezzo
d’esercizio 6,583 euro), ma è
ben poca cosa. Semmai, si moltiplicano
i segnali di una coabitazione
difficile con il presidente
«prestato» solo fino ad aprile
in Confindustria, forse dopo alla
politica. Oppure condannato
a una coabitazione forzata che,
nella storia Fiat, non ha mai portato
bene.
Ahimé, per dirla con l’Avvocato,
la festa è finita. Per giunta,
fuori dalla reggia si consuma la
difficile sfida della dinastia cadetta,
quella di Pininfarina, o il
dramma della Bertone.
Facciamo gli scongiuri per allontanare
la peste recessione.
Come avrebbe fatto lo stesso
Giovanni Agnelli, scaramantico
come tutti i protagonisti. Lui,
probabilmente, una mostra dedicata
al «Secolo dell’Avvocato» in avvio di un anno bisesto,
il 10 di gennaio, forse non
l’avrebbe gradita. Sarà un caso,
ma proprio quel giorno, al Tribunale
di Torino, andrà in scena
la causa di Margherita Agnelli
contro i collaboratori di una vita.
È davvero un inizio gramo.
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