Società

LA PATACCA DEL MINISTRO

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(WSI) – A leggere i titoli e i testi pubblicati dai giornali sulla Finanziaria di Giulio Tremonti si direbbe che mai prima d’ora si era vista una legge così perfetta ed una politica economica così adatta a soddisfare i bisogni, i desideri, le speranze d’un paese. Nonostante una crisi che sta squassando il mondo intero. Nonostante la pessima eredità lasciata dal precedente governo. Nonostante la fragilità del capitalismo italiano. Nonostante l’inefficienza della pubblica amministrazione. Nonostante la pochezza del sindacalismo. Nonostante i malanni dell’Europa. Non e’ un mercato per vedove e orfani. E non e’ un mercato per news gratuite. Hai mai provato ad abbonarti a INSIDER? Scopri i privilegi delle informazioni riservate, clicca sul
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A leggere i titoli e i testi dei giornali, necessariamente sintetici, gli aspetti di maggior rilievo del capolavoro tremontiano erano soprattutto quattro: la miracolosa rapidità con la quale il governo era riuscito ad approvare la legge finanziaria (nove minuti e mezzo), la Robin tax, la carta dei poveri, la “deregulation” del mercato del lavoro. Un impasto virtuoso di liberismo e di socialismo. Più governo e più mercato. Concretezza e filosofia. Durezza e dolcezza. Federalismo e autorità. Infine la Chiesa, il suo insegnamento morale, i suoi valori sola speranza d’Europa e della società italiana giardino del Papa. Ne saremo noi degni?

Commentando il capolavoro tremontiano il ministro-ombra Bersani ha detto: ci sono moltissime cose in quella legge ma manca la cosa. Tito Boeri, a proposito della Robin tax, ha scritto ieri che si tratta d’una bufala di eccezionali dimensioni. Il giornale della Confindustria, contraddicendo l’entusiasmo dei suoi proprietari, ha sottolineato in sei pagine di seguito l’impianto classista della manovra e i rischi di addossarne il peso ai ceti più deboli.

Chi ha ragione? Non vorrei passare da un eccesso all’altro. C’è anche del buono nella manovra di Tremonti. Per esempio aver anticipato i decreti d’applicazione della Finanziaria a giugno e la loro conversione in legge entro luglio insieme al documento di programmazione triennale. Di aver asciugato la sessione di bilancio che si concluderà entrò il prossimo ottobre. Questioni di metodo, in buona parte anticipate da Padoa-Schioppa. Di aver puntato sulla liberalizzazione di alcuni servizi locali già predisposta dalla Lanzillotta.

Di aver previsto un programma di contenimento della spesa pubblica intermedia, quella in gran parte destinata all’acquisto di beni necessari al funzionamento della pubblica amministrazione. Mettendo sotto controllo quei capitoli di spesa il predecessore di Tremonti riuscì a bloccare il ritmo di aumento della spesa corrente che nel quinquennio 2001-2006 aveva sperperato due punti e mezzo di Pil.

A parte questi aspetti positivi, il vero senso politico della manovra di Tremonti sta nello smantellamento degli strumenti di contrasto all’evasione. Con un sofisticato meccanismo di anticipi di entrate e posticipi di uscite secondo uno schema di cassa che lo stesso Tremonti aveva già sperimentato nel quinquennio 2001-2006 e infine con varie “una tantum” a cominciare dall’imposta patrimoniale sulle risorse petrolifere.

Ne saranno beneficiari i professionisti e le partite Iva, verranno tassati i servizi pubblici cioè i loro utenti. L’aumento di cinque punti e mezzo dell’Ires sarà inevitabilmente trasferito sui prezzi al consumo. Nessun provvedimento avrà più luogo sui salari e sulle famiglie che non ce la fanno. Lo sgravio dell’Ici ha dissipato 2 miliardi di euro, la carta di povertà testé istituita butterà via un altro mezzo miliardo e questo sarà stato tutto per alleviare i pesi e rilanciare la domanda.

Ma bisogna riconoscere che c’è del genio nel sedurre i “media” con gli specchietti e le collane di vetro come fecero i “conquistadores” sbarcati cinque secoli fa in Messico e in Florida. La carta di povertà è geniale, la Robin tax è geniale: conquistano per giorni le prime pagine dei giornali e i video di tutte le televisioni, si aprono dibattiti sulla personalità di Robin Hood, sulla foresta di Sherwood, un governo guidato dal più ricco degli italiani tasserà i ricchi per dare ai poveri, che cosa si vuole di più? Non è questo il miracolo? Non serve a moltiplicare il consenso e a prolungare il più possibile la luna di miele?

Poi si scoprirà che si è trattato di patacche. Qualcuno l’ha già dimostrato ma non buca il video e neppure le prime pagine. Intanto il governo guadagna un tempo prezioso tanto quanto ne perse il governo Prodi logorato dalle risse interne fra i troppi galletti di quel pollaio.

Decidere decidere decidere. In nove minuti e mezzo se possibile, in due ore, in un giorno. Michele Serra ha scritto: 127 decisioni al giorno, non importa se tutte sbagliate. Ha ragione, oggi è questa la sindrome della gente.

Un presidente emerito della Repubblica di cui ho l’onore di essere buon amico mi ha confidato l’altro giorno tutta la sua amarezza nel constatare che gli italiani sono abbacinati dal decisionismo purché sia. Non tentano nemmeno di esaminarne i contenuti, sono felici di delegare ogni responsabilità ad un’autorità e se quella mostra i muscoli e strappa alcune regole fondamentali che presidiano lo stato di diritto e la democrazia, chi se ne infischia. Purché si decida.

Forse alla prova dei fatti si sveglieranno. Intanto gli intellettuali dibattono se è fascismo oppure no, se è dittatura oppure no, si citano autori, si rievocano Gramsci e Pasolini. Tempo perso e pagine sprecate.

* * *

Si rafforza un luogo comune in questi giorni: bisogna sperare che i provvedimenti adottati si attuino e portino buoni frutti, augurarsi il peggio sarebbe criminale.

Giuro sui miei figli di non essere un criminale e quindi non mi auguro affatto il peggio. Questo mi obbliga ad applaudire una politica basata soltanto sull’immagine e… sotto il vestito niente? Oppure a parlar d’altro per distrarre il pubblico come si usa fare per accalappiar le allodole e friggerle in padella?

Mentre Tremonti mandava in scena il suo capolavoro economico e finanziario, Berlusconi teneva anche lui il palcoscenico da par suo sulla sicurezza e sulla giustizia. Bloccava ogni notizia sulla magistratura inquirente e scriveva al presidente del Senato una lettera che farà storia, assumendosi la diretta responsabilità del congelamento dei processi, giurando naturalmente sui suoi figli la sua innocenza e accusando d’esser sovversivi i giudici che pretendono di giudicarlo.

“Ci riporta di nuovo ad una situazione che speravamo di aver superato” ha detto Veltroni dinanzi all’assemblea dei democratici preannunciando una resistenza ferma e responsabile. Gli organi rappresentativi della magistratura hanno anch’essi reagito con composta fermezza allo stravolgimento dello stato di diritto. Il presidente della Repubblica continua a sottolineare la gravità di questa situazione. La stessa opinione pubblica, ancorché imbambolata dalle televisioni, mostra qualche primo segnale di resistenza: il consenso a Berlusconi che aveva toccato il tetto-record del 58 per cento a metà maggio, quattro giorni fa è sceso di quattro punti al 54 per cento.

Ma appena un anno fa la pubblica opinione avrebbe reagito con ben diversa energia a queste sceneggiate. Il deterioramento dello spirito pubblico ha molte cause: paura del nuovo, aumento degli egoismi, difficoltà di tirare avanti la vita e per i giovani di costruirne una nuova, mediocrità delle classi dirigenti sia di destra sia di sinistra, rifugio nell’antipolitica e nel “gossip” come antidoto alla frustrazione.

La conseguenza è un Paese fermo, ripiegato sui luoghi comuni che deturpano il senso comune. Intanto la linea di successione di questa Repubblica in cerca di un Lord Protettore è già stabilita: sarà Giulio Tremonti dopo il Berlusconi IV. Fini non sarà contento ma Bossi sì: è il nordismo, bellezza, nella sua peggiore declinazione.

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