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La manovra non basta. Motivo: il paese non cresce

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I mercati non si sono tranquillizzati. Martedì pareva che si fossero un po’ calmati, ma solo perché la caduta dei prezzi era stata arrestata dall’intervento della Banca centrale europea che ha acquistato molti titoli pubblici italiani. Ma c’è un limite a quanto anche la Bce possa fare.

Un’alternativa è che sia il Fondo europeo per la stabilità finanziaria ad acquistare titoli italiani, ma ciò significherebbe rendere ancor più trasparente il trasferimento fiscale dai contribuenti tedeschi a quelli italiani. Ma la riluttanza della Germania a farsi carico dei problemi di altri Paesi è sempre piu evidente. Ecco perché gli investitori si stanno chiedendo se l’Italia possa farcela da sola.

Da lunedì scorso la nostra posizione è cambiata: ora non stiamo più con Francia e Germania nel gruppo dei Paesi «sicuri», ma con la Spagna: il rendimento dei Btp italiani è ormai uguale a quello dei titoli spagnoli e lontano trecento punti dagli analoghi Bund tedeschi e dagli Oat francesi. Ciò significa che gli investitori non pensano più che un default dell’Italia (l’incapacità cioè di rimborsare i titoli di Stato) sia un evento con possibilità pressoché nulla. A questi prezzi, sui mercati si calcola che, in un orizzonte di cinque anni, la probabilità che l’Italia possa restituire solo 50 centesimi per ogni euro avuto in prestito è pari al 20%.

Un default italiano rimane comunque una possibilità molto remota, ma ciò che si sta facendo per evitarlo non basta. È per questo che la nuova manovra finanziaria non ha convinto i mercati. Per due motivi: le misure sono ancora troppo sbilanciate sul 2013 e 2014, cioè dopo le prossime elezioni. Nel 2011 la manovra sarà di tre miliardi, di sei nel 2012 su una dimensione totale di 79 miliardi. Si deve anticiparne e di molto l’impatto. È per di più troppo sbilanciata sul lato delle entrate e fa poco sul taglio delle spese.

L’annuncio che ripartiranno le privatizzazioni «nel 2013», cioè quando ci sarà un nuovo governo, anziché tranquillizzare i mercati li ha probabilmente preoccupati ancor di più, perché rende evidente che considerazioni elettorali prevalgono sulla gravità della situazione. Inoltre l’Italia paga il fatto che misure per la crescita, deregolamentazione di certe professioni, miglioramenti nel campo della giustizia civile e nei costi burocratici per le imprese, vengono annunciati all’ultima ora sull’orlo del tracollo invece che costruite con calma anni orsono. E anche questo i mercati lo capiscono benissimo: danno cioè l’impressione di essere scelte preterintenzionali e non meditate.

L’esperienza di altre crisi finanziarie insegna che la metà di agosto è un momento propizio per gli attacchi: i mercati sono poco liquidi e le decisioni di un piccolo numero di investitori sono facilmente amplificate. È accaduto nell’agosto del 1998 con il default della Russia e nell’agosto del 2007 quando scoppiò la crisi dei subprime americani.

Il governo ha poche settimane di tempo per evitarlo. Ma ciò non significa concentrarsi su misure contabili di breve periodo che aumentano una pressione fiscale già alta. Bisogna anche annunciare riforme credibili che accelerino la crescita. È vero che queste riforme strutturali non daranno risultati sullo sviluppo immediati, ma in questo momento l’effetto annuncio, se credibile, può molto aiutare. I mercati devono convincersi che l’Italia sta cambiando passo. Altrimenti chi vorrà continuare a investire in un Paese che non cresce?
Illudersi di avercela fatta solo perché stiamo per approvare questa manovra sarebbe un errore gravissimo.

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