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La liberta’ dei servi. Ovvero il PD, partito del nulla alternativo al regime Berlusconi

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C’è vita nel Pd ora che il Pdl scoppia? Nemmeno i rilevatori più sensibili, quelli in grado di captare il battito d’ali delle farfalle, riescono a cogliervi minime tracce di attività vitale. Anzi, più si sentono parlare i cosiddetti leader di quella che dovrebbe essere l’alternativa al regime che frana, più si capisce che non hanno nulla da dire. Quando sono proprio al massimo dell’attività cerebrale non riescono ad architettare che governicchi tecnici, istituzionali, balneari, ammucchiatine ribaltoniste buone solo a evitare ciò che più di ogni altra cosa li terrorizza: le elezioni, anzi gli elettori.

Abituati a far politica a tavolino, a prescindere dalla gente, non riescono nemmeno a immaginare qualcosa di decente che convinca gli italiani a votarli. Soggiogati dall’incantesimo berlusconiano, non trovano parole che non siano già state confiscate da B. o che non provengano dal Jurassic Park della Prima Repubblica. Basta leggere l’intervista a Repubblica di quello che dovrebbe essere l’homo novus del Pd, Sergio Chiamparino, che ha 62 anni e s’iscrisse al Pci nel 1970. Il tenero virgulto ha un’idea davvero fulminante: “Ci vuole un congresso per dettare la nostra agenda”.

Roba arrapante: già immaginiamo milioni di elettori elettrizzati che si accalcano alle porte transennate del congresso, ansiosi di visionare “la nostra agenda”. Nazareno Gabrielli? O Buffetti? O Vagnino? Pelle o similpelle? Saranno previste agendine tascabili per i minori? E non è finita: “Si individuino – intima il virgulto – quattro problemi per avanzare proposte alternative forti”. Anzi tre: “Il federalismo; le relazioni tra imprese e sindacati; il fisco”.

La prima parola d’ordine è già occupata da Bossi, la terza da B. e sulla seconda è meglio stendere un velo pietoso, visto che i Chiamparini fino al mese scorso erano innamorati persi di Marchionne, poi hanno scoperto chi è. L’idea di parlare di legalità non li sfiora neppure, anche perché metterebbe in fuga metà del partito, infatti quella bandiera se l’è fregata Fini.

Per capire qualcosa in questo manicomio organizzato è utile il saggio di Maurizio Viroli, La libertà dei servi: descrive il “sistema della corte” in cui lo strapotere del despota assorbe tutto e tutti quelli che vogliono contare qualcosa, tanto gli alleati e i servi quanto i presunti oppositori che finiscono col confinarsi nel recinto cortigiano, parlando solo di quel che vuole Lui e usando solo le sue parole.

Bisogna eleggere i membri laici del Csm? Non sia mai che si esca dal recinto: Lui ci manda i suoi avvocati, Bossi ci manda il suo avvocato, dunque il Pd ci manda l’avvocato di D’Alema. C’è da eleggere il vicepresidente del Csm? Si prende un bel democristiano che è stato sottosegretario di B, convive da una vita coi Cuffaro e i Cesa, ha salvato B. depenalizzandogli il falso in bilancio, escogitandogli il legittimo impedimento, votando tutte le leggi vergogna nessuna esclusa, e ora dice “basta conflitti fra politica e magistratura”.

È una scempiaggine senza capo né coda, lo sanno tutti che i “conflitti” sono processi doverosamente istruiti dalla magistratura su politici ladri e mafiosi. Ma chi li chiama “processi” e non “conflitti” esce dal recinto della corte, non sia mai. C’è pure il rischio di innervosire il Pompiere della Sera e il capo dello Stato, così giulivi per l’elezione quasi unanime dell’ennesimo impresentabile in una istituzione di controllo (nell’italica corte, ogni robaccia che puzza lontano un miglio diventa Chanel numero 5 purché sia “condivisa”).

Intanto il capo dello Stato, stando ai boatos, blocca la nomina di Paolo Romani a ministro dello Sviluppo economico perché sarebbe in conflitto d’interessi per la sua precedente attività di editore televisivo. Oh bella: e perché non ci ha pensato due anni fa, quando Romani divenne sottosegretario delle Comunicazioni? E perché un piccolo conflitto d’interessi dovrebbe impedire a Romani di fare il ministro e uno smisurato conflitto d’interessi non dovrebbe impedire a B. di fare il presidente del Consiglio? Semplice: perché, a corte, Lui è lui e noi non siamo un cazzo.

Dal Fatto Quotidiano del 04/08/2010