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LA GRANDE FUGA DALL’ EQUITY

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(WSI) – In poco più di un mese le principali piazze finanziarie internazionali hanno completamento azzerato quanto di buono fatto nei primi quattro mesi dell’anno. Ma a differenza di quanto successo negli anni passati, questa volta la risposta degli investitori è stata più che tempestiva. E nel mese di maggio i fondi investiti in azioni sono stati protagonisti di una vera e propria fuga di liquidità. Stando alla fotografia scattata da Assogestioni, infatti, i comparti specializzati nell’equity hanno bruciato più di 3 miliardi di euro, pur rimanendo in attivo da inizio anno per circa 900 milioni.

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VIA DALL’AZIONARIO. Una fuga intelligente? «Nessuno può dirlo in questo momento – commenta Alberto Foà, amministratore delegato di Anima Sgr – Tra sei mesi stileremo un bilancio e saranno le Borse stesse a dirci se sia stata o meno una fuga intelligente». È anche vero, comunque, che «tutto dipende da quando l’investitore è entrato sul mercato – fa notare Pietro Giuliani, presidente di Azimut – Il fondo non è un investimento di breve periodo», non è uno strumento, come le azioni, che può essere acquistato e venduto nell’arco di un paio di mesi. «Questo vuol dire che chi ha avuto l’accortezza di entrare all’inizio dello scorso anno, o ancora meglio nel 2004, ha fatto bene a prendere profitto», continua Giuliani. «Anche perché non si ha alcuna certezza su quando questa correzione dei mercati, del tutto fisiologica e attesa, avrà fine – aggiunge Giulio Casuccio, gestore di Fondaco – Di certo non si è esaurita nel solo mese di maggio e, sebbene a ritmi inferiori, la discesa continuerà anche nei prossimi mesi».

E Azimut è già da un anno che ha cominciato a consigliare ai propri clienti lo switch dall’equity ai fondi flessibili. «A oggi più del 35% del nostro asset under management (di circa 12 miliardi di euro, ndr) è investito in prodotti flessibili – afferma il presidente di Azimut. Il 20%, invece, è concentrato sui bilanciati, mentre il resto è diviso tra azioni e obbligazioni». Il discorso, invece, cambia per quei ritardatari che sono entrati sull’equity soltanto pochi mesi fa. «In questo caso sinceramente non posso parlare di giusto timing – sottolinea Giuliani – anche perché personalmente sono convinto che dopo l’estate le Borse torneranno a esprimersi al meglio. Le indicazioni provenienti dal fronte congiunturale sono incoraggianti e i fondamentali delle imprese ottimi».

Anche Credit Suisse è da più di un anno che ha cominciato a ribilanciare i propri portafogli. «E una volta alleggerito il peso sull’azionario, in questi ultimi mesi abbiamo preferito presentare ai nostri clienti molti più prodotti focalizzati sul reddito fisso – commenta Matteo Bosco, amministratore delegato per l’Italia di Credit Suisse – Una asset class sulla quale era doveroso e importante diversificare». Per Massimo Greco, amministratore delegato di Jp Morgan Am Italia, non è invece possibile parlare di fuga intelligente, indipendentemente dal timing di entrata: «Certo l’uscita dall’equity c’è stata, è evidente. Ma è avvenuta quando il mercato era già sceso – spiega Greco – Inoltre, non ci troviamo in una fase di mercato, come accaduto nel 2000, in cui le valutazioni dell’azionario non trovavano riscontro nei fondamentali. Anzi, i multipli delle società quotate restano interessanti e dopo questa correzione, benefica per i listini, stiamo già valutando di tornare sull’equity».

UN SISTEMA IN GINOCCHIO. Intelligente o meno, comunque, la fuga c’è stata. E non solo dall’azionario. Il rosso ha interessato anche gli obbligazionari, i bilanciati e i fondi liquidità, per un bilancio complessivo in negativo per 5,2 miliardi di euro (da inizio anno il deflusso netto è di 2,2 miliardi). Si tratta del risultato peggiore degli ultimi cinque anni. Soltanto a settembre del 2001 l’industria del gestito aveva fatto peggio, registrando una fuoriuscita di liquidità di circa 9 miliardi. E la perdita di maggio è ascrivibile interamente alle società italiane che hanno chiuso un bilancio in negativo per oltre 6,3 miliardi, mentre i fondi esteri hanno archiviato il mese con un attivo di 1,1 miliardi.

Insomma, i dati censiti da Assogestioni mostrano un’industria italiana in profonda crisi, visto che dall’inizio dell’anno i fondi domestici hanno perso complessivamente 23,5 miliardi e i prodotti roundtrip (quelli creati all’estero dai gestori italiani), con una raccolta positiva di 9,6 miliardi, non sono riusciti a compensare le perdite. Così da gennaio il sistema dei fondi italiani perde complessivamente quasi 14 miliardi. Mentre avanzano i prodotti di gestori esteri: da gennaio a maggio il loro bilancio è infatti positivo per oltre 11 miliardi. Ma la vera conferma sulla crisi delle Sgr italiane arriva dal dato mensile degli esterovestiti, che a maggio hanno registrato una raccolta netta negativa per 141 milioni dopo 40 mesi consecutivi in positivo (l’ultimo segno meno risale a gennaio 2003). Ma i gestori sembrano ignorare questi dati e sono convinti che assolutamente non si possa parlare di crisi.

I NODI DA SCIOGLIERE. «È vero che 5,2 miliardi di euro sono tanti – dice Foà – Ma è altrettanto vero che rappresentano soltanto l’1% del patrimonio complessivo (attestatosi a fine maggio a 601,2 miliardi, ndr). Con questo però non voglio dire che non ci sono problemi. Delle cose da mettere a posto ci sono. Come la questione fiscale. Il diverso meccanismo di tassazione, infatti, favorisce la concorrenza estera in Italia e impedisce il contrario. Insomma, lo Stato italiano sta uccidendo un settore che può avere una rilevanza strategica». E Greco di Jp Morgan Am aggiunge: «Ma c’è anche un altro duplice problema che penalizza l’Italia: quello dello stretto legame tra produttore e distributore e tra banche e Sgr». Non a caso, dallo spaccato della raccolta netta per singole società di gestione emerge come a perdere siano state soprattutto le Sgr che hanno collocato i loro prodotti attraverso le reti bancarie tradizionali. «Ma per superare la crisi c’è bisogno anche di una maggiore specializzazione», conclude Bosco di Credit Suisse. Ed ecco spiegato, dunque, anche il successo a maggio delle realtà specializzate più piccole come Fondaco, che ha raccolto 253,7 milioni, e indipendenti come Azimut, che ha rastrellato 56,8 milioni.

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