(WSI) – Le preoccupazioni e domande degli investitori, degli economisti e degli uomini politici sono in questo momento: riusciranno gli Stati Uniti a compiere un atterraggio morbido o subiranno un atterraggio brusco? L’attuale crisi dei mercati finanziari rappresenta un problema serio e persistente o una temporanea impennata della volatilità? La Fed ritoccherà i tassi di interesse e queste politiche monetarie contribuiranno a prevenire l’hard landing dell’economia? Il resto del mondo riuscirà a sganciarsi dal rallentamento economico degli Usa?
Le probabilità per un atterraggio brusco dell’economia statunitense (una recessione economica) erano già alte prima della crisi e dell’impennata della volatilità nei mercati finanziari dell’estate. La crisi, però, manifestatasi sotto forma di una seria stretta creditizia e della liquidità, aumenta le probabilità di un hard landing. Siamo di fronte a un circolo vizioso, dove un’economia Usa che continua a indebolirsi aggrava ancor di più la stretta nei mercati finanziari e dove la stretta delle condizioni creditizie e della liquidità nei mercati finanziari indebolirà l’economia con un ulteriore crollo degli investimenti immobiliari e un rallentamento dei consumi e della spesa in conto capitale delle aziende.
Il rallentamento dell’economia statunitense peggiorerà nei prossimi trimestri per diversi motivi. Gli Stati Uniti stanno attraversando la più grave recessione nel settore immobiliare degli ultimi 30 anni: la domanda e l’offerta di case di nuova costruzione scende drasticamente da un anno e per la prima volta dalla Grande Depressione i prezzi delle case sono scesi su base annua. Prezzi che scenderanno molto di più nei prossimi due anni – di circa un 15% – per via di cinque fattori che gonfieranno ancor più il già enorme eccesso di case di nuova e vecchia costruzione disponibili, già alto a livelli storici.
La stretta creditizia nei mutui ridurrà ulteriormente la domanda di case di nuova costruzione; milioni di famiglie che non onoreranno i mutui perderanno la casa e una volta rientrate in possesso di queste case le banche le riverseranno sul mercato incrementando un’offerta già eccessiva; nei prossimi 12 mesi sarà rinegoziato l’equivalente di mille miliardi in mutui a tasso variabile a tassi di interesse molto più alti e le famiglie che non saranno in grado di rinegoziarli o permettersi questi interessi più alti saranno costrette a vendere le case a prezzi stracciati; coloro che in condizioni patrimoniali non particolarmente agiate hanno comprato immobili a fini speculativi ora tenteranno di venderli anche se i prezzi scendono.
Aspettatevi nei prossimi due anni una caduta dei prezzi degli immobili residenziali veloce e drastica. Una crisi immobiliare non può comportare una recessione perché il settore rappresenta solo il 5% del pil, ma la valanga si sta riversando su altri settori: l’industria auto è in recessione, il manifatturiero rallenta, la domanda di beni durevoli legati alla casa (mobili, elettrodomestici) scende e l’occupazione e la creazione di posti di lavoro decresce. Inoltre il consumo delle famiglie americane (70% della domanda aggregata) è in sofferenza.
I consumatori non hanno risparmi, sono oberati dai debiti e in balia di forze negative. Finché i prezzi delle case crescevano (fino al 2006) era naturale per le famiglie usare il valore della casa come un Bancomat, accendendo crediti sulla base di immobili il cui valore aumentava. Ora che i prezzi scendono, si assiste ad una contrazione del consumo, la cui crescita è rallentata da una media del 4% fino al primo trimestre 2007 a un debole 1,3 nel secondo trimestre, e ciò prima dalla crisi estiva. I consumatori sono messi alle strette dal decremento del valore degli immobili che porta a un effetto di ricchezza negativa, dall’impossibilità di attingere al patrimonio immobiliare che spinge le famiglie a non spendere, dalla stretta creditizia che implica costi più alti per il servizio del debito; dall’indebolimento del mercato del lavoro (il numero degli occupati è sceso in agosto per la prima volta in 4 anni) che riduce le possibilità di generare reddito.
Ci si attende un ulteriore rallentamento del tasso di crescita. Se il consumo si contrae, lo stock di merci invendute spinge le aziende a rallentare la produzione, le assunzioni e le spese. Il flusso degli investimenti delle aziende si è già indebolito malgrado gli alti profitti. Vista l’aspettativa di una minore domanda dei consumatori, di un più elevato spread nel credito, dell’incertezza sul futuro, ci si aspetta un’ulteriore contrazione degli investimenti. La rivalutazione del rischio implica un costo più alto del credito per consumatori, acquirenti di case, aziende, istituti finanziari.
Oltre all’indebolimento dell’economia reale, nei prossimi mesi la confusione nei mercati finanziari peggiorerà. Il problema non è circoscritto ai mutui subprime: le stesse spericolate e intossicanti pratiche utilizzate per concedere credito a clienti ad alto rischio– nessun anticipo, nessuna verifica del reddito e del patrimonio, mutui che contemplavano il solo tasso di interesse, ammortamenti negativi, rate iniziali ridicolmente basse per attirare i clienti – sono state applicate a chi accendeva mutui ed era a rischio quasi nullo.
La stretta creditizia nel mercato dei mutui a rischio ha tracimato in quello a rischio nullo e in una varietà di mercati del credito: conti liquidità, prestiti interbancari, prestiti concessi a fronte di vari tipi di asset, strumenti strutturati delle banche, cartolarizzazione, mercati degli Lbo. Tutti sono bloccati. Questa stretta della liquidità e del credito peggiorerà man mano che la crisi dei mercati finanziari si rivelerà più grave di quella del 1998, che vide crollare l’Ltcm, il maggior hedge fund.
Allora si pose solo il problema della liquidità, perché l’economia era in forte crescita (più del 4%), l’incremento della produttività era alto e gli Usa erano nel boom di Internet. Oggi, oltre ai problemi di liquidità dobbiamo affrontare problemi di credito e di insolvenza derivanti dal boom del credito che ha comportato un indebitamento eccessivo. Il problema di insolvenza riguarda milioni di famiglie americane; decine di istituti dei mutui subprime già falliti; decine di società di costruzioni messe alle strette; una serie di hedge fund e altri istituti ad alto leverage finiti gambe all’aria. L’aumento degli spread del credito porterà a un numero maggiore di fallimenti di imprese tenute artificialmente a galla grazie a condizioni del credito troppo favorevoli.
I problemi di liquidità che si possono risolvere con iniezioni di moneta, per i problemi del credito non vale questa soluzione. L’allentamento della politica monetaria da parte della Fed non salverà l’economia e i mercati finanziari da un atterraggio duro perché sarà già troppo tardi. La Fed ha sottostimato la gravità della recessione immobiliare e il suo effetto tracimazione su altri settori.
I problemi del credito e le insolvenze non possono essere risolti solo con la politica monetaria. Le iniezioni di liquidità della Fed vengono trattenute dalle banche che accumulano riserve invece di riconcederle sotto forma di credito a quei settori dove la stretta creditizia peggiora. La globalizzazione, la cartolarizzazione e l’insorgere incontrollato di strumenti di credito complessi hanno portato a una maggior opacità nei mercati finanziari.
Questa mancanza di trasparenza produce una incertezza incommensurabile invece di un rischio valutabile. Il rischio può essere valutato quando si ha una serie di probabilità per una serie di eventi. Ma l’incertezza incommensurabile crea in condizioni di stress dei mercati una maggior avversione al rischio. L’incertezza proviene da due fonti: non conosciamo le dimensione delle perdite complessive dei mercati del credito (quello dei subprime potrebbe ammontare a 100 miliardi o più a seconda di quanto scenderanno i prezzi delle case); le perdite degli altri strumenti poco liquidi non sono misurabili in un mondo dove le istituzioni si sono misurate con i modelli piuttosto che con il mercato e le agenzie di rating, condizionate da conflitti di interesse, hanno accordato ai nuovi strumenti rating non corretti.
La cartolarizzazione implica che i rischi si sono diffusi dalle banche fino agli angoli del sistema finanziario, e non sappiamo quali istituti detengano rifiuti tossici e falliranno per primi. Sono falliti istituti di aree lontane come l’Australia, l’Asia, la Francia, la Germania e il Canada per la loro esposizione a derivati del credito legati ai mutui subprime. È come girare ciechi in un campo minato quando non si ha la più pallida idea di dove siano le mine. Quest’incertezza suscita paura e mancanza di fiducia verso le controparti finanziarie: tutti vogliono accumulare liquidità e tenersi gli asset più sicuri, gli istituti finanziari non si fidano l’uno dell’altro e sono restii a concedere prestiti.
La rivalutazione del rischio è un fenomeno permanente. L’impennata del costo del credito rende più fragile un’economia già indebolita. E’ la prima crisi del mondo della globalizzazione e della cartolarizzazione. Può il resto del mondo sganciarsi da un rallentamento degli Usa? Il contagio finanziario ha colpito i mercati europei con la stessa forza. Per il contagio reale, se gli Usa riescono a compiere un atterraggio morbido, la spinta della crescita in Europa, Giappone, Asia, America Latina sarà sufficiente per consentire lo sganciamento.
Ma se l’America affronta l’atterraggio duro, possibilità sempre maggiore, l’idea che il resto del mondo possa sganciarsi dalla recessione è azzardata. Gli Stati Uniti rappresentano il 25% del pil mondiale: i vincoli commerciali, quelli dei tassi di cambio dettati da un dollaro debole, i canali di contagio finanziari, gli effetti sul consumatore, porteranno a un rallentamento. In un mondo globalizzato e in mercati finanziari integrati gli shock al centro del sistema hanno effetti dolorosi sul resto del mondo per i mercati finanziari e le economie reali.