Società

La crisi argentina e le somiglianze con l’Italia di oggi

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ROMA (WSI) – A dodici anni di distanza dalla crisi economica che mise in ginocchio lo Stato e rese carta straccia il Peso, l’Argentina si è lentamente ripresa del fatidico default del 2 gennaio del 2002. I profondi danni sociali di quegli anni balzano all’occhio. Un nuovo paesaggio di povertà si è affacciato su Buenos Aires e le altre grandi città del paese. Ovunque gente che fruga nella spazzatura e una crescita esponenziale delle “villas Miserias”, quartieri per lo più periferici diventati veri e propri contenitori di miseria.

I ceti medi che fanno dell’Argentina un paese atipico nel panorama sudamericano, in cui esistono piccoli gruppi di ricchissimi e una stragrande maggioranza di poveri, sono da sempre in grande sofferenza. Risparmi andati in fumo, perdita di beni essenziali come la casa e un trauma psicologico che tarderà molto nell’essere assorbito.

Pablo Lasansky, Mirta Parellada e il loro figlio Tomas compongono la famiglia tipo della classe media. Lui a capo dello staff fotografico dell’agenzia di notizie NA, lei psicopedagoga presso diverse scuole medie argentine. Il forte stress causato dalla scomparsa dello Stato ha procurato a Pablo un infarto. «In ospedale ho scoperto parlando con i medici che i numerosi casi d’infarto e malattie nervose erano da attribuirsi alla crisi. Danni collaterali umani che in pochi hanno preso in considerazione: la vita umana, di fronte ai numeri, conta davvero poco».

Tutti gli argentini ricordano quei giorni di furia e disperazione. Le cifre approssimative parlano di 36 morti e migliaia di feriti. Il popolo scese in strada e la polizia colpì duro. Le rivolte popolari si trascinarono dietro ben cinque governi. L’uscita del Paese dalla politica neoliberista perseguita dall’ex presidente Carlos Menem, che per quasi dieci anni aveva congelato l’economia con un’irreale parità Peso – Dollaro, era il demonio più temuto e così fu.

Radio La Tribu, l’emittente libera di Buenos Aires, si trovò a seguire passo dopo passo quelle giornate in cui l’Argentina non aveva più né uno stato né una moneta. Le madres de Plaza de Mayo, simbolo della resistenza alla dittatura militare, furono duramente bastonate dalla polizia. Radio La Tribu trasmise in diretta l’assalto della polizia contro le anziane signore generando lo sdegno generale di un popolo che ancora ricordava la ferocia dei militari. Un trauma difficilmente dimenticabile, una situazione che, secondo alcuni economisti potrebbe ripetersi nel sud dell’Europa qualora avvenisse l’uscita dall’Euro.

L’Argentina un po’ da sempre è stata un laboratorio in cui testare nuovi piani economici. Durante il decennio del Presidente Menem lo Stato privatizzò praticamente tutto. Dal petrolio all’acciaio, dalle telecomunicazioni allo smantellamento delle ferrovie, portando uno dei paesi più ricchi al mondo in materie prime e con una popolazione costituita in larga maggioranza da figli di europei verso il baratro economico. Oggi in tanti si chiedono se la crisi che si trova ad affrontare l’Europa potrà in qualche modo finire come in Argentina. Difficile a dirsi: diverse le realtà, imparagonabili il Mercosur con la comunità Europea. Senza parlare della consapevolezza che se lo Stato non è forte e non interviene in favore dei settori a rischio, le crisi possono prendere strade inimmaginabili.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Corriere della Sera – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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