L´apoteosi di Silvio Berlusconi è convocata il 24 gennaio, alla convention dell´Eur per celebrare i dieci anni della “scesa” in campo. Si vedrà in quell´occasione l´esordio della nuova strategia del capo del centrodestra, insieme con il suo restyling facciale.
Sul piano del consenso il premier ha un problema vistoso, rappresentato da sensibili perdite nei sondaggi; in termini politici, dal formarsi di una valutazione diffusa tutt´altro che entusiasmante sulla qualità del suo governo. «Piccolo cabotaggio», ha sentenziato in proposito un critico non ostile come Angelo Panebianco, aggiungendo che «ormai è troppo tardi per rimediare».
In altri termini: il governo Berlusconi ha creato una miscela di spettacolarismo riformatore negli annunci e di doroteismo applicato. Inoltre sulle leggi di sfondamento, come la Gasparri e il lodo Schifani, è stato bloccato dal Quirinale e dalla Corte costituzionale, con una doppietta che ha abbattuto anche la credibilità tecnica della legislazione del centrodestra. Con questi due plateali insuccessi si è anche concluso un ciclo “populista” segnato dal tentativo di trasformare in leggi interessi patrimoniali e politici particolari, invocando il mandato del popolo come fonte di legittimità assoluta per ogni atto di governo.
Ma se si esaurisce il populismo padronale, c´è da capire quale sarà la strategia futura, in vista del lunghissimo ciclo elettorale che comincia con le europee. Anche perché sul piano politico l´orizzonte del centrodestra è nebuloso, con un progetto di riforma istituzionale che ogni giorno si carica di trovate fra il dilettantesco e l´abusivo, mentre tutte le altre velleità “riformiste”, dalle pensioni alla giustizia, sembrano destinate a restare impaludate nell´incapacità di trattativa con i soggetti interessati, sindacati e ordine giudiziario in primo luogo.
Si aggiunga che la coalizione di governo continua a inscenare il suo spettacolo di tensioni interne: sono passati dieci anni, ma il rapporto fra la Lega e An non è molto cambiato dai tempi del ribaltone. Tutt´al più ora è Umberto Bossi che accusa Gianfranco Fini di tradimento. Berlusconi quindi non può puntare nemmeno sulla qualità dell´alleanza: il blocco presunto moderato è ancora un ricettacolo di litigi, e il vero mastice fra i soci di governo è dato dal mantenimento del potere. La situazione è paradossale, perché se non si riesce a governare efficacemente con la maggioranza blindata che la Casa delle libertà ha in Parlamento, ciò conduce a conclusioni facilmente prevedibili: e cioè che la caratura professionale del ceto di governo è insufficiente.
Dunque per essere ancora credibile Berlusconi sarà obbligato a puntare tutto su se stesso. Con una riapparizione splendente, il viso disteso dal riposo o dal lifting, il sorriso nuovamente implacabile, un´epifania postmoderna nel cuore del popolo di Forza Italia. Perché sia Berlusconi sia la sua “gente” hanno bisogno di una mitologia, anzi di un mito vivente, che si rinnova nella liturgia plebiscitaria. Dieci anni fa, alla Fiera di Roma, avvenne la fusione a caldo fra il leader sceso in campo e l´Italia di Forza Italia, una borghesia che si ritrovò a cantare il karaoke dell´inno del neopartito, emozionata dall´evento e dalla propria stessa presenza nel luogo in cui cominciava una storia.
Fu una fusione caldissima, uno show irripetibile che adesso il Cavaliere deve cercare di replicare. Può evocare il comune sentimento anticomunista, che fu alla base dell´impegno morale incarnato dalla discesa in campo; suscitare nuovamente l´orgoglio per una decisione “eroica”, che come nel 1948 fece da bastione alla libertà; deve sollecitare ancora quei sentimenti di solidarietà politica, di coesione di classe, di orgoglio collettivo che generano commozione nell´animo della borghesia forzista, riunita nell´idolatria per «Silvio», per le sue capacità di imprenditore e per la sua generosità di politico.
Un sogno. Un sogno in cui il tecnico delle luci conta non meno delle ispirazioni ideali, e la ritrovata freschezza del viso non meno dei richiami a Sturzo e a De Gasperi. Nei sogni tutto si trasfigura: le barzellette diventano apologhi filosofici, lo stile goliardico si mostra come la sfumatura di una leadership europea, gli strappi di Bossi appaiono come le simpatiche cialtronate metropolitane di un fratello minore, di un altro ragazzo della via Gluck. Nei sogni il festival di Tony Renis è un evento simile alla notte degli Oscar, e il leader è un concentrato mistico di se stesso, un Berlusconi al cubo che scatena calde pulsioni desideranti.
Nella realtà, invece, le cose risultano più fredde. Le istituzioni di garanzia, come s´è visto, restano impermeabili al fascino populista del berlusconismo. E sul piano sociale il «consenso senza fiducia» (categoria etichettata da Ilvo Diamanti) sta sfumando in una incollerita delusione. Rispetto al parlatore suadente, al venditore irresistibile, allo spacciatore di felicità, si stende un´Italia che ha forse ancora la testa nella nuvola mediatica, fra i lustrini postmoderni della tv, ma il cui corpo avverte i morsi di fenomeni molto «moderni», molto novecenteschi: l´economia che non riprende, l´impoverimento del lavoro dipendente, l´inflazione non controllata.
Berlusconi proverà a vendere a questa Italia, per l´ennesima volta, l´alone luminoso del suo volto e del suo successo, i miracoli di Tremonti e del suo chirurgo estetico Angelo Villa, le canzoni napoletane nonché gli slogan della sua mitologia politica. Ma se il sogno si fosse già infranto? Se la nostra società contemporanea non sentisse più il richiamo della postmodernità “azzurra”, ma avvertisse più o meno oscuramente il bisogno di soluzioni semplicemente moderne, cioè adeguate al peso specifico dei problemi economici?
Per favorire il risveglio dall´ipnosi berlusconiana sarebbe utile un´opposizione capace di mettere a tema questo ritorno alla realtà. Altrimenti si può delegare il compito al disincanto: ma si sa che in questo caso i tempi non sono né moderni né postmoderni, sono semplicemente molto lunghi.
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