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LA CITY SCALA L’ALITALIA

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Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Il primo dato, per piccolo che
sia, lo ha fornito proprio il palcoscenico
principe, ovvero il mercato. Ieri mattina all’apertura
delle contrattazioni a Piazza Affari
il titolo Alitalia faceva infatti registrare
un rialzo del 2,8% a quota 0,97 euro, un balzo
in avanti notevole per un titolo che da un
anno a questa parte ha tracheggiato tra il
baratro e l’agonia.

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Ma, soprattutto, una
chiara indicazione di rotta giunta a pochi
giorni dalla comunicazione della Consob riguardo
l’acquisizione da parte della Walter
Capital Management (Wcm), società di gestione
del risparmio anglo-americana,
dell’8,187% del capitale della compagnia,
operazione che è valsa alla holding la conquista
del posto di secondo azionista della
compagnia dopo il Tesoro. La compagnia
britannica ha investito nell’azienda guidata
da Giancarlo Cimoli 105 milioni di euro,
una strategia che si regge sulla combinazione
tra potenzialità speculative del titolo e fiducia
nel piano di riassetto industriale in atto
e quindi nella potenzialità del gruppo.
Perché tanto interesse della City su Alitalia?

In effetti prima della Walter Capital
Management anche la Barclays era intervenuta
pesantemente sull’assetto societario
dell’ex compagnia di bandiera, rastrellando
il 7% del flottante per poi scendere sotto il
2 mentre altri attori, come gli statunitensi
della Mellon e la Norges Bank norvegese
hanno sempre limitato i loro pacchetti a
quote più basse, 4% i primi e 2,04 i secondi.
Londra crede in Cimoli e nel suo piano di risanamento?

Non del tutto. Ad esempio Oltremanica
non piace affatto l’ipotesi di acquisto
di Volare che Alitalia avrebbe avanzato
nell’asta in corso per
l’acquisizione del vettore
low cost italiano con un
esborso di 40 milioni di euro
a fronte di uno stato di salute
finanziario tuttora deficitario.
Come può un’azienda
sostanzialmente ancora
pubblica (al 49.9% di azioni
detenute da via XX Settembre
va unito il 20% di quota
dei dipendenti) e che beneficia
di aiuti statali e cassa integrazione per
risanare i propri debiti lanciarsi in un’operazione
di acquisizione completamente fuori
mercato?

Questa la domanda che circola
nella City da tempo, almeno da quando le
sollecitazioni britanniche in sede Ue hanno
cominciato a farsi pressanti riguardo l’ennesimo
caso di “state aid” italiano. Interpellate
sul caso, da Londra fonti del Treasury fanno
già sapere che non resteranno silenti su
questo ennesimo «caso di alterazione della
concorrenza all’interno di un paese europeo
». Se infatti il ministro delle Finanze britannico,
Gordon Brown, ha
più volte tuonato in sede
Ecofin contro la totale assenza
di princìpi di liberismo
economico all’interno
del mercato comune europeo,
ora dalle parole si potrebbe
davvero passare ai
fatti con il supporto di qualche
cifra non proprio
confortante.

Nel 2002 l’ammontare degli aiuti governativi
ad aziende in crisi è stato nell’Ue di 49
miliardi di euro, con la Gran Bretagna fanalino
di coda a quota 3,9 miliardi a fonte del
crack totale della Rover e della crisi della
stessa British Airways.Ben diverse le percentuali
in altri paesi come la Francia, la Germania
e soprattutto l’Italia, messa all’indice dal
documento inglese preparato da Alan Wood
proprio per i 1,4 miliardi di euro spesi per
l’Alitalia negli anni Novanta ma soprattutto
per il fatto che «questo ancora non basti e gli
aiuti ancora continuino». Eccome se continuano.
Aiutare un gigante moribondo per acquisire
slots a poco prezzo su Linate e drogare
ancora di più la concorrenza in un mercato
già deregolamentato e scosso dai
venti concorrenziali delle linee low
cost e no frills? Non si fa, tanto più
che per tamponare la propria crisi
British Airways ha dovuto licenziare
dalla sera alla mattina 11mila dei
suoi 22mila dipendenti, più altre
migliaia dell’indotto aeroportuale
tra cui i dipendenti della Gate
Gourmet di Heathrow.

Quindi, il
fair business impone che non possano esserci
figli e figliastri.Tanto più che in ambienti londinesi
non sfugge che oltre al principio di correttezza,
l’operazione Volare non risponderebbe
nemmeno a quello di strategicità sul
medio termine vista la necessità assoluta da
parte di Alitalia di portare a termine un serio
progetto di risanamento per potersi finalmente
affiancare ad un partner industriale
solido come ad esempio Air France-Klm,
eterno socio in attesa di formalizzazione. Le
piccole beghe tutte italiane che vedrebbero il
tentativo di rilevare l’azienda di Gallarate come
un gioco prettamente elettoralistico basato
sul salvataggio di circa 1000 posti di lavoro
in un’area strategica della Lombardia non
vengono neppure prese in considerazione:
«It’s not our business», tagliano corto.

Gli investitori britannici, quindi, giocano
di sponda: condannano lo scorretto sostegno
statale ad Alitalia da un lato ma investono sul
titolo proprio perché credono nelle potenzialità
di sviluppo che la lunga mano del Tesoro
può garantire all’ex compagnia di bandiera.
Contraddizione? Nemmeno troppo, visto che
da Londra fanno sapere che in linea di principio
l’operazione ponte può essere accettata
se non ulteriormente distorta da giochi paralleli
come quelli di Volare. E che, soprattutto,
non è affatto detto che la quota della Walter
Capital Management non possa salire ancora
nell’arco
del prossimo
anno, ritenuto
dagli
analisti fondamentale
poiché condurrà fatalmente
allo sbocco
nella partnership franco-olandese
(2007) e ai prodromi di un grande
network europeo se risanamento
e ristrutturazione seguiranno le linee tracciate.

A mezza voce nella City si fa capire che,
a queste condizioni, il passaggio in doppia cifra
della presenza di Wcm nel capitale potrebbe
avvenire entro la primavera. Secondo
le prime stime, sommarie a dire il vero, con il
balzo in avanti della Walter Capital Management,
i fondi stranieri avrebbero raggiunto ad
oggi una quota che rasenterebbe il 25-26%
del pacchetto azionario dell’ex compagnia di
bandiera italiana: qui, intanto, si spaccia per
grande operazione strategica l’acquisizione di
un moribondo da parte di un degente grave,
ovvero l’Alitalia “pubblica” che investe su
Volare. Ma si sa, aprile si avvicina.

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