New York – Arriva l’ok dalla Federal Reserve. Tre grandi banche statali cinesi potranno costituire delle filiali negli Stati Uniti e acquistare partecipazione in alcuni istituti bancari Usa. Si tratta della Industrial and Commercial Bank of China Ltd (ICBC), di China Investment Corporation (CIC) e della sua controllata Huijin Investment.
Prenderanno il controllo della The Bank of East Asia (Usa) a New York. Si tratta della prima volta che una banca cinese riceve l’approvazione dalla Federal Reserve per acquistarne una americana. La Fed ha infatti deciso che questi istituti sono sufficientemente regolati nella madrepatria, condizione necessaria perché potessero aprire sportelli e ricevere depositi negli Stati Uniti.
Segnale di una crescente cooperazione e di un miglioramento dei rapporti tra le due super-potenze. Di recente il Segretario al Tesoro Usa Timothy Geithner aveva assunto una posizione più accomodante del solito sullo yuan cinese. Fortemente criticato negli ultimi anni dalle autorità Usa per essere una moneta eccessivamente sottovalutata, viene ora evidenziato il tentativo di Pchino verso un tasso di cambio più flessibile, orientato alle dinamiche del mercato.
Intanto China Investment Corp, il veicolo di investimento creato dal governo cinese per poter utilizzare al meglio l’enorme ammontare di riserve in valuta estera accumulate – attraverso anni e anni di surplus della bilancia commerciale – comunica che non intende più investire nel debito europeo dei paesi PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) a causa della crisi, ma continuerà a guardare con attenzione alle varie opportunità che si presenteranno nel continente. “Continuiamo a cercare opportunità in Europa, ma non intendiamo procedere all’acquisto di bond legati al debito pubblico dei paesi europei”, ha confermato il Presidente di CIC Gao Xiqing, durante il World Economic Forum sull’Africa ieri ad Addis Ababa.
In particolar modo, come già affermato in passato, la Cina potrebbe essere disposta ad investire in nuove infrastrutture o aziende industriali in Europa, ma si guarda bene dal fare l’errore di cimentarsi con la crisi del debito pubblico dei paesi periferici Ue.