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LA CINA
SI COMPRA LA FIAT

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Roma. L’interesse di Torino per la Cina è legato a un’occasione sprecata: quando si decise tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta di puntare soprattutto sul Sudamerica e sull’Est europeo, nel piano di potenziamento e sviluppo di nuovi mercati, rinunciando a massicci interventi in Asia. Oggi l’opzione cinese si ripresenta sulle scrivanie del vertice, ma all’incontrario: e se a salvare la Fiat arrivasse una impresa cinese?

Ieri su Repubblica ne riferiva come di una delle ipotesi un giornalista sempre bene informato sui fatti Fiat, Salvatore Tropea. E sull’ultimo numero dell’Espresso un brillante storico dell’economia, non sospetto di simpatie con la casa torinese, Giulio Sapelli ha lanciato apertamente la proposta: cercare un partner internazionale asiatico: “Potrebbe anche verificarsi il paradosso di una Fiat Auto salvata dal capitalismo di stato cinese”.

Spiega Davide Cucino, presidente della Camera di commercio italiana in Cina: “Ci sono alcuni player che sulla carta potrebbero essere interessati a rafforzare la loro posizione sul mercato interno con un apporto straniero: Siac Chery, Geely Auto, Shenyang Brilliance”. Attualmente il mercato cinese vale circa due milioni di autoveicoli l’anno. Le previsioni dicono che varrà sei milioni di auto entro il 2010, nonostante la stretta sui crediti che nata per raffreddare il mercato immobiliare ha avuto anche delle conseguenze sulla diffusione del credito al consumo, e dunque sulla crescita delle vendite di auto.

Tutti i principali gruppi internazionali hanno investito in Cina: GM, Toyota, Ford, Daimler-Chrysler, Volkswagen, Psa, Honda. Intervengono attraverso joint-venture con produttori locali, tre dei quali lavorano – aiutati dal governo di Pechino – a raggiungere dimensioni ragguardevoli e già adesso controllano la metà del mercato interno. Sono Faw, Donfeng e soprattutto Saic, la Shanghai automotive industry corporation. Al momento Saic produce circa 800.000 auto l’anno, ha in piedi due joint venture internazionali, una con Volkswagen e l’altra con GM; possiede il marchio Chery (al centro di un clamoroso caso di plagio: ha messo in produzione una piccola auto venduta a meno di 5.000 euro che è la copia identica e non autorizzata della Matiz, che GM, titolare della microcar e socia di Saic, vuole commercializzare per suo conto); sta definendo con una società di concessionari inglesi che l’avevano avuta in liquidazione da Bmw l’acquisto della storica ma malmessa Rover.

Un affare su cui si aspetta la parola definitiva dei due governi, cinese e inglese, quest’ultimo preoccupato dal destino di 6.000 posti di lavoro e un po’ infastidito perché le trattative, come tutte quelle che implicano rapporti con le autorità cinesi, vanno per le lunghe.

Saic è l’interlocutore

Il nome della Saic sarebbe venuto fuori anche come potenziale interlocutore di Fiat. Potrebbe essere dunque di Shanghai la società asiatica che interverrebbe nella Fiat. Per valutare la situazione, e raccogliere pareri e informazioni, i vertici di Fiat avrebbero avviato dei colloqui di approfondimento con uno dei maggiori esperti di Cina in Italia, Franco Bernabè, attuale vice-presidente di Rotschild Europa.
Ma è ovvio (come dimostra il caso Saic-Rover) che per una avventura così complessa, la Fiat ha bisogno dell’aiuto del governo, al di là delle asprezze di questi mesi. Dice Maurizio Sacconi, sottosegretario al Welfare: “Il ruolo vero di uno Stato moderno non è di partecipare al capitale, ma aiutare un grande gruppo nelle sue alleanze globali, anche perché il mercato globale ha una sua evidente dimensione politica”.

Per ora a Torino tutto tace sull’opzione Shangai. Fonti del gruppo minimizzano. C’è un forte partito francese, che ha sponde a Palazzo Chigi e punta su Peugeot. Esiste un partito giapponese (quelli che venderebbero a Toyota). Il partito cinese invece è ancora silenzioso. Anche se è stato il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, grande alleato di Luca Cordero di Montezemolo, a lanciare per primo la carta impero celeste. In questi giorni comunque la prima preoccupazione al Lingotto è archiviare la partita con General Motors. Tra gli osservatori esterni c’è chi critica Sergio Marchionne per lo stile aggressivo, da posizioni oggettivamente deboli, nel confronto con GM. Ma in ambienti vicini alla famiglia Agnelli, alcuni ritengono che Marchionne stia trattando con una spregiudicatezza che potrebbe portare risultati insperati.

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