Società

LA CATASTROFE
DEL GOVERNO,
LA RAI

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Chissà come andrà a finire. Chissà se troveranno un posto degno della sua fama a quell’eccellente, discreto, operoso amministratore pubblico che si è rivelato il presidente emerito della Corte costituzionale.

Chissà se daranno un calcio in culo a quel reprobo di Agostino Saccà, responsabile di aver rimesso a posto i conti sballati della Rai di Roberto Zaccaria, di aver corretto lo standard sovietico-venezuelano dell’informazione pubblica, esponendosi al linciaggio per via di quell’esternazione belluina venuta da Sofia, e di aver tenuto insieme un’azienda destinata a saltare in aria (l’esplosivo è il conflitto di interessi e l’arrogante degnazione con cui il Cav. continua a trattare questo suo problema).

Chissà se compiranno quest’opus magnum del come-farsi-male con un assalto a Raitre, dopo le gaffes censorie degne di una Repubblica delle banane. Chissà.

Quel che è certo è che non gliela manderemo a dire. Per quanto sinceramente e legittimamente offeso e intimidito dal servizietto sicario che i criminosi amministratori dell’Ulivo gli avevano rifilato in campagna elettorale, Silvio Berlusconi aveva una sola strada davanti, quando il governo ha messo le mani sulla Rai, sia pure nella confusa mediazione dei presidenti delle Camere: una via aziendalista, che rilanciasse l’orgoglio aziendale di quel mammut e lo mettesse in grado di competere con la concorrenza;

e una strategia di influenza liberale sull’informazione pubblica, con uomini giusti, non sottoposti al gioco delle lobby interne alla maggioranza, possibilmente stimati da settori larghi dell’opinione pubblica.

Sarebbe stato e sarebbe un modo di ridurre l’anomalia del tycoon televisivo che diventa premier, un modo per essere e mostrarsi disinteressato in ogni senso, uomo di Stato capace di governare un problema quasi impossibile.

Uno che è capace di dominare in politica estera, e che dà buone speranze di riuscire a realizzare il suo programma, avrebbe dovuto anche proporsi come arbitro imparziale e magnanimo. Tanto più che la demonizzazione, checché ne pensino i sondaggisti privati del Cav., non gli ha portato via la vittoria. E’ un fatto.

Invece affondiamo, nonostante i buoni consigli di tanti suoi amici, in una deriva irosa ed esclusivista del premier televisivo, che s’impiccia e pasticcia e teorizza che le televisioni non devono consentire che alcuno sia attaccato.

Il che, se vuol dire che i Santoro devono abbassare la cresta, è più che giusto. Se vuol dire, come ormai sembra, che non esiste il diritto di criticare e di fare satira sul governo, è semplicemente grottesco.

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