Nessuna pausa per le Borse, il rialzo prosegue. A ben vedere si sta ripetendo quanto accaduto oltre un
anno fa, quando, superato lo shock per gli eventi dell’11 settembre e i suoi riflessi su economie e mercati, le Borse
sembravano puntare su un riavvio definitivo, sostenuto, oltre che dalla ripresa economica, da un ingente massa di
liquidità alla ricerca di più soddisfacenti rendimenti attesi.
A differenza di allora, quest’ultima molla oggi appare
molto più pressante, vista l’ulteriore, secca discesa dei rendimenti a lunga (e in parte anche dei tassi, soprattutto
nell’area euro) avvenuta nel frattempo, mentre il quadro economico appariva meglio impostato allora; a
ricordarcelo c’è il PIL americano che, pur alternando trimestri esplosivi (+5% il 1° del 2002, +4% il 3°) a pause
temporanee (+1,3% il 2°, +1,4% il 4°, sempre del 2002), mostrava ritmi medi di crescita compresi tra il 2,5 e il 3%,
mentre adesso prevale una semi-stagnazione (+1,9% il 1° trimestre USA, con il 2° che viaggia su ritmi persino
inferiori, intorno all’1,5%), l’Europa non è distante dalla crescita zero e Paesi come la Germania (ma anche l’Italia
non scherza) sono già in recessione.
La scommessa su una ripresa virtuosa di economie, utili e Borse era forse
più fondata allora che non oggi; ma gli scandali aziendali e l’aggressiva politica estera dell’Amministrazione Bush,
che aveva già dato il via ai preparativi per l’operazione Iraq, finirono per far deragliare il tentativo già prima
dell’estate; e il riflusso che ne derivò spinse i listini sui nuovi minimi del triennio. I pessimisti ad oltranza potranno
ritenere che si sia trattato solo di pretesti, come quelli che tra breve interromperanno anche l’attuale tentativo di
rilancio, poiché il vero problema – secondo loro – è che siamo oramai in un bear market di lungo periodo all’interno
del quale non sono affatto da escludere rimbalzi magari violenti, ma solo temporanei.
Ipotesi tutte da verificare,
così come quelle di ripresa virtuosa; ed è per questo che, dicevamo l’altra volta, nell’imm ediato a guidarci è solo la
“fede” in uno dei due scenari alternativi. Stavolta, molto più di un anno e mezzo fa, il consenso sta comunque crescendo a favore dei rialzisti.
Sarà che siamo ormai nel quarto anno di ribasso dei listini – la cabala vuole la sua parte – sarà che il crollo dei
rendimenti monetari e obbligazionari sta rendendo drammatico l’impiego della liquidità, e buona parte dei titoli
quotati presenta rendimenti superiori a quelli dei titoli di Stato anche con scadenza decennale, ma la voglia di
azionario è cresciuta e potrebbe portare a quella bolla che lo scorso anno si sgonfiò invece sul nascere.
La
chiamiamo bolla perché deriverebbe da una liquidità che preme senza che parallelamente economia e utili
riescano a decollare come sperato; un’ipotesi a nostro avviso molto ragionevole, che porrà, ma solo più avanti, seri
problemi di tenuta alle Borse. Per ora i dubbi non pesano e le delusioni sono presto dimenticate: così il calo della
fiducia dei consumatori registratosi in giugno, e reso noto venerdì scorso, ha fornito il pretesto solo per una piccola
pausa, nonostante la fiducia fosse considerata dagli investitori un ingrediente essenziale del quadro di
generalizzata ripresa.
Per fortuna, i legami dell’indice dell’Università del Michigan con i consumi reali sono ancora
tutti da dimostrare, ed anche il suo calo, derivante dalla componente aspettative (scesa da quota 91,4 a 84,2),
sembrerebbe riflettere solo il venir meno del rimbalzo “psicologico” a conclusione del conflitto in Iraq. Insomma, se
i mercati hanno presto dimenticato l’infortunio non c’è di che preoccuparsi.
A ribilanciare subito la situazione ieri ci
ha pensato invece il più significativo indice del settore manifatturiero nell’area di New York, balzato a sorpresa a
quota 26,8, da 10,6 in maggio. Si tratta in effetti di una delle poche sorprese positive emerse sul fronte
dell’economia reale nelle ultime settimane, e come tale merita attenzione, sebbene sarebbe meglio, prima di
esultare di fronte magari a un falso segnale, attendere una conferma giovedì dall’indice analogo rilevato dalla Fed
di Philadelphia.
Non potremo fare altrettanto oggi con i dati sulla produzione industriale, poiché relativi soltanto al
mese di maggio; l’attesa qui è per un dato invariato dopo la già fiacca lettura del mese precedente. Ma di questi
tempi, e con tutta la liquidità che preme, l’ottimismo non vuole sentire troppe ragioni; e almeno per ora tutto
sommato è inutile farsene troppe.
Ci aspettano però tempi duri, se davvero la ripresa farà fatica a farsi strada e
saranno gli interventi forzosi delle Banche Centrali a sostenere, con il paracadute della liquidità, la tenuta dei
consumi e le velleità degli investitori.
*Michele Pezzinga e’ capo strategist di Eptasim.