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(WSI) –
Se sono queste le sorprese che ci aveva preannunciato il presidente del Consiglio, è bene che ne arrivino altre. Le misure di liberalizzazione varate dal governo venerdì aprono una breccia importante nella costellazione di rendite che blocca la crescita della nostra economia. Lo fanno col metodo giusto anche se dovranno essere rese ancora più incisive per arrecare benefici maggiori non solo ai consumatori, ma anche alle professioni coinvolte nelle liberalizzazioni. Potranno infatti, se ben congegnate, premiare i bravi professionisti, quelli che competono tanto sul prezzo, che sulla qualità delle prestazioni. Il metodo è quello giusto perché non bisogna prendersela con i simboli, con le tante icone di cui si contornano le corporazioni per proteggersi.
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Occorre affrontare la sostanza dei problemi e curare i dettagli. Abolire gli ordini professionali serve solo a scatenare l’ira di tutti coloro che svolgono o aspirano a svolgere una professione. Meglio invece limitarsi a ridurre il potere di mercato degli ordini, impedire che possano bloccare la concorrenza e farli competere tra di loro (ad esempio impedendo che ci si possa iscrivere solo all’ordine della zona di residenza) affinché non si mettano al servizio di chi svolge male la propria attività, ma cerchino di attrarre i migliori professionisti. Bene anche permettere la nascita di agenti privati come i broker assicurativi che faranno competere tra di loro le compagnie di assicurazione.
E’ giusto il metodo seguito dal governo anche perché non è sempre necessario concertare in anticipo le misure da attuare con le parti coinvolte, soprattutto quando è in gioco l’interesse generale del Paese. Sorprendere è l’unico modo per liberalizzare senza creare conflitto sociale sterile. L’annuncio prima che la manovra venga varata serve soltanto a rendere il conflitto inutile, perché il fuoco preventivo delle lobby spesso finisce per bloccare tutto. Perché le misure siano davvero efficaci bisognerà ora curare molti dettagli. Ad esempio, è importante creare gli incentivi giusti perché i Comuni attivino i concorsi per le nuove licenze dei taxi e procedano davvero alle gare di appalto per i servizi pubblici locali, frenando la corsa agli affidamenti «in house».
Non basta neanche abolire le tariffe minime e il divieto di pubblicità per i liberi professionisti, se non si rendono più trasparenti i costi delle prestazioni professionali. Nel caso degli avvocati, ad esempio, è bene imporre che le tariffe siano di tipo forfettario, anziché continuare ad essere legate alla lunghezza dei procedimenti, cosa che ha spesso favorito l’allungamento della durata dei processi. Ma la cosa più importante è liberalizzare i percorsi di ingresso nelle professioni. Basta con gli albi chiusi, che oggi impongono che in città come Torino ci siano solo 498 (dicasi 498) notai o che impediscano a molti giovani farmacisti di esercitare la loro professione. Se si liberalizzano davvero i percorsi di ingresso, i benefici per i consumatori di queste misure, in termini di prezzi e di qualità dei servizi, saranno ancora più alti e vi saranno ricadute importanti per l’economia.
Pensiamo, ad esempio, a quanto costano alle nostre imprese di esportazione i servizi di commercialisti che operano protetti, loro sì, dalla concorrenza. Ma liberalizzare gli ingressi serve soprattutto a favorire la professione e migliorarne l’immagine presso l’opinione pubblica. I professionisti più bravi hanno tutto da guadagnarci dalla liberalizzazione e dalla maggiore trasparenza con cui tutti i loro colleghi verranno costretti ad operare, perché potranno finalmente mostrare a tutti la loro bravura. La battaglia è tutt’altro che vinta. Le posizioni di rendita colpite dalle liberalizzazioni sono ampiamente rappresentate nel Parlamento. Nella passata legislatura, più della metà dei parlamentari della maggioranza era costituito da commercianti, avvocati, notai e altri liberi professionisti.
Forse l’unico vantaggio di quella brutta legge elettorale che ci ha impedito alle ultime elezioni di scegliere i nostri rappresentanti in Parlamento è che ha ridotto questa nutrita schiera, anche se magari a vantaggio dei politici di professione. Il centro-sinistra oggi, comunque, rappresenta un blocco sociale basato sul lavoro dipendente. Era legittimo, dunque , aspettarsi da questo governo ben maggiore incisività del precedente nell’aggredire queste posizioni di rendita. Occorrerà ora affrontare la fase più difficile, quella del risanamento dei conti pubblici, che non può che passare attraverso tagli della spesa pubblica che dovranno inevitabilmente danneggiare alcune componenti del lavoro dipendente, soprattutto nel pubblico impiego.
Non ci si poteva certo aspettare misure strutturali di taglio della spesa da una manovra estiva varata da un governo appena nato. Le misure efficaci di riduzione della spesa non possono che essere selettive: tagliare gli sprechi e colpire posizioni di privilegio, abolire enti e amministrazioni inutili senza sparare indiscriminatamente nel mucchio. Per questo ci vuole più tempo per abbattere in modo permanente le spese che per aumentare le entrate.
Ma deve essere chiaro fin d’ora all’interno della coalizione di governo che per tornare a crescere e risanare i conti occorrono ora interventi non temporanei di contenimento della spesa pubblica. Dovranno essere attuati il più presto possibile anche perché possano dare frutti più avanti nella legislatura. Potranno infatti liberare risorse per finanziare quelle riforme che sono fondamentali per il Paese e che non possono essere fatte a costo zero, come una riforma vera degli ammortizzatori sociali, basata sull’estensione a tutti di tutele di base e di misure di contrasto della povertà. La filosofia dopotutto è sempre la stessa: livellare il piano di gara garantendo tutele di base per chi, suo malgrado, non dovesse farcela.
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