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(WSI) – Tutto per colpa di una palestra. Danilo Coppola è finito in carcere per uno scherzo del destino. A settembre del 2004, dopo aver incassato gli abbonamenti annuali per un centro fitness di Grottaferrata, i gestori sono scappati con la cassa, i truffati sono andati in Procura e Danilo Coppola, che era proprietario delle mura, si è ritrovato suo malgrado sotto la lente di un maggiore molto pignolo: Roberto Prosperi.
Il comandante della Guardia di finanza di Frascati ha scoperto che la sede del centro era stata comprata da Coppola per 1,2 milioni di euro e rivenduta a un’altra società del gruppo a 7 milioni, cinque giorni dopo. Per questi giochini Coppola è finito in galera con l’accusa di associazione a delinquere e bancarotta. Accuse che scolorano di fronte al quadro delineato dalle informative della Finanza che ‘L’espresso’ ha potuto visionare.
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I finanzieri hanno spulciato i bilanci e le compravendite del gruppo e hanno ascoltato migliaia di telefonate per capire il segreto di questo trentanovenne, cresciuto nella borgata Finocchio, diplomato in un istituto di Tor Pignattara, che nel giro di quattro anni ha messo su un patrimonio di 3 miliardi e mezzo di euro. Coppola è diventato il ventunesimo uomo più ricco d’Italia, accaparrandosi il Lingotto di Torino, il Grand Hotel di Rimini, una quota della Roma e il 5 per cento di Mediobanca.
Un poker di simboli dell’immaginario nazionale che fa a pugni con la realtà dell’inchiesta. I finanzieri si sono appostati in cantieri abitati dagli zingari, hanno fotografato villette dei boss e spulciato i precedenti di riciclatori e usurai. Al termine di questo lavoro, il maggiore Prosperi ha steso un rapporto di 32 pagine consegnato all’inizio del 2005 al procuratore aggiunto Italo Ormanni, coordinatore dell’antimafia capitolina.
L’informativa è divisa in tre capitoli: rapporti con la banda della Magliana; possibili rapporti con la ‘ndrangheta; presunti rapporti con la mafia. Questi atti non hanno portato a un’incriminazione che contenga la parola ‘mafia’, tanto che Danilo Coppola e i suoi uomini sono stati arrestati sulla base delle accuse del Nucleo valutario coordinato dal colonnello Bruno Buratti per reati ‘comuni’. Certamente però gli atti raccontano una storia che ‘comune’ non è.
Tutto inizia la mattina del 7 dicembre 1989. Al governo c’è Giulio Andreotti e il muro di Berlino comincia a scricchiolare quando un giovanotto di 22 anni già dotato di folta capigliatura varca sicuro la porta della Banca di Marino. Lo accompagna la mamma Francesca, conosciuta dal direttore della filiale come ‘venditrice di acciughe sotto sale’. L’attività di inscatolamento era ospitata nel seminterraneo di via Bolognetta e faceva storcere il naso ai ragazzi della borgata Finocchio, ma rendeva bene.
Quando Danilo entra in banca il direttore lo accoglie a braccia aperte, ma il suo debutto, secondo la Finanza, è segnato dall’ombra della banda della Magliana: “In due occasioni Danilo Coppola presenta all’incasso sul suo conto 11 effetti cambiari per un importo complessivo di lire 57 milioni e 950 mila lire. La società emittente era la Centrauto Tuscolana esercente l’attività di commercio all’ingrosso di veicoli”.
Chi c’è dietro? “Aldo De Benedittis, indicato come capo di un’associazione a delinquere finalizzata al gioco di azzardo presso i circoli legati alla banda della Magliana”. Nel 2004 la Centrauto è stata sequestrata perché riferibile al boss “che aveva il compito di gestire tutte le attività connesse ai circoli, facendo riferimento direttamente a Enrico De Pedis, capo della banda ucciso nel 1990”. Quando Coppola porta in banca le cambiali della Centrauto, De Benedittis è già il re dei videopoker.
Nel 1985 la Polizia gli aveva sequestrato 15 miliardi di lire e lui era sfuggito all’arresto navigando con il suo megayacht in acque extraterritoriali. Secondo la Polizia, incassava dalle sue slot un miliardo al giorno. Era il boss più ricco del Lazio e viveva in una villa a Grottaferrata, non lontano da quella dove risiede oggi Danilo Coppola. Secondo le Fiamme gialle, “le cambiali della Centrauto potrebbero essere servite a Coppola per finanziarsi nei primi anni di attività quando era difficile per lui ottenere affidamenti dalle banche”.
Coppola si dipinge nelle interviste come l’erede di una dinastia di palazzinari, ma quando entra nella banca di Marino suo padre Paolo Coppola, impiegato delle Poste, si era appena lanciato nel settore, tirando su un palazzetto a Finocchio. Quella prima costruzione, a cento metri dalla casa di famiglia, si trova a pochi passi dal terreno dove il boss Enrico Nicoletti ha costruito un palazzo ora confiscato per mafia. La Finanza annota “una medesima zona di interesse” e azzarda una spiegazione: “A monte potrebbe esistere un rapporto tra Nicoletti e Danilo Coppola”.
L’accusa è gravissima. Parliamo di un boss per il quale il pm Lucia Lotti ha appena chiesto una condanna a 16 anni per associazione mafiosa. La definizione di ‘cassiere della banda della Magliana’ che gli è stata data dalla stampa per i vecchi affari con il boss De Pedis, è imprecisa e riduttiva. Nicoletti è l’uomo che ha costruito la prima sede dell’Università di Tor Vergata, che stava per comprare gli stabilimenti cinematografici De Paolis e che era riuscito a entrare in società con un gruppo quotato in Borsa.
Le traiettorie di Nicoletti e Coppola si incrociano a Torre Gaia. In questo comprensorio vicino all’imbocco della Roma-Napoli, chiuso da una sbarra e guardato a vista da vigilantes armati, attraverso un cancello in via di Valle Alessandra 46 si accede alla villa dove il boss, anziano e malato, trascorre i suoi arresti domiciliari insieme ai suoi eredi, Massimo e Tony, che sono stati arrestati con grande clamore proprio qui il 9 maggio 2003. E sempre qui, il 25 febbraio 2004, quando stava spiccando il volo verso il salotto buono di Mediobanca, Danilo Coppola compra un appartamento modesto, al secondo piano di via di Valle Alessandra 45, un solo numero civico di distanza dal boss.
In quell’appartamento Coppola è stato visto rincasare più volte a tarda sera dai finanzieri che annotano: “Il cancello d’ingresso dell’appartamento occupato da Danilo Coppola è collocato esattamente di fronte alla villa confiscata a Enrico Nicoletti, ove il predetto si troverebbe attualmente agli arresti domiciliari, potrebbe non trattarsi di una semplice coincidenza”.
I sospetti dei finanzieri aumentano quando scoprono che un anno prima, nel febbraio 2003, il gruppo Coppola ha affittato un albergo alla Geimar, una società di due fratelli legati al braccio destro di Nicoletti, Enrico Terribile. Il contratto tra Coppola e la Geimar dei fratelli Ascenzi prevede una durata di nove anni e un pagamento di 80 mila euro al mese. L’operazione presenta due stranezze: l’immobile non è ancora stato costruito eppure la Geimar versa a Coppola in anticipo 43 mesi di canone pari a 3 milioni e mezzo di euro. Per di più paga anche i sette mesi precedenti alla stipula.
I sospetti aumentano quando si scopre che i soci della Geimar, così generosi con Coppola, sono Antonio e Nazzareno Ascenzi. Due piccoli imprenditori che abitano nella stessa strada di Enrico Terribile e che secondo le Fiamme Gialle potrebbero essere stati finanziati da questo signore per il quale il solito pm Lotti ha appena chiesto 15 anni di condanna nel processo Nicoletti. E il pm Lotti è la stessa che ora indaga su Coppola.
Le coincidenze perseguitano Coppola. A casa di un uomo legato a Nicoletti, Gianni Micalusi, i finanzieri sequestrano nell’ottobre 2003 un appunto con il suo nome. E anche quando esce da Roma, l’immobiliarista si ritrova a fare affari con imprenditori legati al clan. Nel dicembre 2002 la società Spi.Ca., del gruppo Coppola, compra un terreno a Rocca di Papa per 350 mila euro dalla Toro 91. Cinque mesi dopo il titolare della Toro 91, Umberto Morzilli, viene arrestato per tentata estorsione insieme ai figli di Nicoletti.
Passano ancora sei mesi e il terreno finisce alla Cantieri del Sud, intestata per il 98 per cento a una fiduciaria, ma riferibile a Coppola. Il 2 per cento restante, nel 2004 finisce a Luigi Marotta, un salernitano che ha precedenti di polizia poco rassicuranti. Anche a Torgiano, vicino a Perugia, la Spi.Ca. compra 14 ville dalla Toro 91 di Morzilli. Troppe coincidenze per non attirare l’attenzione dei finanzieri su Morzilli, uno strano imprenditore, titolare di un’officina, che possiede una Ferrari e una barca e colleziona sull’agenda i telefoni di persone vicine a Nicoletti. Morzilli però è in affari anche con i militari e costruisce case per le loro cooperative. Quelle di Rocca di Papa, per esempio, sono state già acquistate dai carabinieri dei Castelli romani e che ora seguono con ansia l’evoluzione dell’inchiesta.
Anche a Montecompatri, vicino a Roma, Coppola ha acquistato una quota di una società (Assa srl) da una vecchia conoscenza degli inquirenti: Giampaolo Lucarelli, l’amministratore della Ecology, una società che aveva fatto un affare (poi annullato dalla magistratura) con un prestanome di Nicoletti. Coppola ha giurato di non conoscere nessuno e ha lamentato di essere stato messo in croce ingiustamente dalla stampa per l’acquisto della Assa. A sentire Brunetto Tini, l’ex azionista principale che ha venduto l’Assa a Coppola, stavolta l’immobiliarista ha ragione: “Coppola e Lucarelli non si conoscono”. Le parole di Tini, manager stimato del gruppo Abete, dimostrano quanta attenzione ci voglia nel trarre conclusioni in questo tipo di indagine. Per questa ragione i pm Lotti e Cascini stanno studiando tutte le carte. E solo alla fine risponderanno alla domanda chiave dell’inchiesta: “Chi c’è dietro Coppola?”.
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