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L’umore del pianeta: quanti musi lunghi in Occidente. Tanta speranza e ottimismo invece nei Bric

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(WSI) – Il 2011 è alle porte, la prima decade del XXI secolo è ormai trascorsa: dieci anni sono un buon lasso di tempo per iniziare a stilare qualche bilancio. Gli anni zero, battezzati in inglese «naughties», ovvero «birichini», di marachelle e sconvolgimenti ne hanno portati in effetti parecchi: gli attacchi alle Torri Gemelle di New York, le guerre in Iraq e Afghanistan, l’inarrestabile avanzata di Internet (con annessi social network, iPad e smartphone), il più grande crac finanziario a partire dagli Anni 30, quindi la Grande Crisi, ora il terremoto Wikileaks.

Eppure l’evento forse più gravido di conseguenze inizia a manifestarsi appieno proprio ora: la migrazione della ricchezza da Occidente a Oriente. Un processo che, per quanto graduale, già si può misurare nell’umore delle persone. I Paesi ricchi, infatti, pur essendo ancora ricchi sono depressi e vedono nero; quelli emergenti – molto più poveri, a conti fatti – sentono invece che il loro momento sta per venire e guardano all’anno nuovo con speranza. Il futuro non è davvero più quello di una volta. Per nessuno.

Ad aver fatto accomodare il mondo sul lettino di Freud è una équipe di ricercatori coordinati dalla Gallup International – che dal 1977 tiene sott’occhio «l’umore del pianeta». Il risultato è il Global Barometer of Hope and Despair, il «barometro globale della speranza e della disperazione».

I ricercatori della Gallup hanno intervistato, tra ottobre e novembre, 64 mila persone sparse in 53 nazioni del mondo chiedendo loro un pronostico sul 2011. Come andrà l’economia nell’anno nuovo? Ci sarà più lavoro o più disoccupazione? Le cose andranno meglio o peggio?

Le risposte dei Paesi del G7 – Canada, Stati Uniti, Giappone, Francia, Italia, Germania, Regno Unito – non potrebbero essere più diverse da quelli del Bric – Brasile, Russia, India e Cina, il blocco di nazioni emergenti. All’interno del G7, infatti, solo il 17% degli intervistati vede il 2011 come un anno di «prosperità economica»; la maggioranza – il 41% – crede che sarà «come il 2010», mentre il 36% prevede «un periodo di difficoltà».

Tutt’altra musica nel blocco emergente. Qui il 56% delle persone vede il 2011 con positività, il 32% crede che non sarà molto diverso dall’anno appena trascorso, mentre solo il 14% confessa preoccupazione. Maggiore pare anche la consapevolezza: nel 14.376 $ (2005) Bric il 5% dice di «non sapere», rispetto al 6% del G7. I dati, ovviamente, sono aggregati. In Russia solo il 30% della popolazione ha fiducia nel futuro – negli Stati Uniti e in Germania sono il 25% – mentre in Cina si arriva a toccare il 58%, e in Brasile il 56%.

Se il detto popolare «il denaro non dà la felicità» sembra confermato, la prospettiva di farne un po’ pare sollevare nettamente gli animi. «Il sondaggio di quest’anno – dicono alla Gallup – ci mostra come su 53 nazioni scrutinate 19 possano essere classificate come “speranzose” e 34 come “pessimiste”. È alquanto choccante vedere che la maggior parte dei Paesi ricchi ricade nella seconda categoria».

Germania, Corea, America, Olanda, Belgio, Canada, Giappone, Italia, Francia, Regno Unito fanno quindi parte del settore dal potere d’acquisto alto ma dal muso lungo. Musi ancora più lunghi in quei Paesi – e non sono pochi – che hanno poche speranze ma anche poco fieno in cascina. Di questo gruppo fanno parte Serbia, Romania, Ucraina, Bulgaria, Egitto, Turchia, Polonia, Pakistan, Macedonia, Camerun, Russia.

In testa agli «speranzosi squattrinati» si trova invece un Paese africano, la Nigeria. Seguono Vietnam, Ghana, Cina, Brasile, India, Afghanistan, Iraq, e Argentina. I più fortunati, i ricchi e felici, sono pochi: Svezia, Finlandia, Danimarca, Svizzera. «Mentre il nuovo secolo entra nella seconda decade – riassume il rapporto – i dati suggeriscono che, se il benessere è ancora concentrato in Europa e negli Stati Uniti, il potere e la prosperità si stanno invece spostando verso l’Oriente».

Una forbice, quella della ricchezza detenuta e dell’aspettativa di crescita, che penalizza fortemente l’Italia. Il nostro Paese, infatti, è 17° nella classifica del reddito pro capite (subito dietro la Spagna) e segna un indice di speranza netto (differenza tra ottimisti e pessimisti) di -35. Male, ma non malissimo. La Francia, pur essendo più ricca dell’Italia, vede ad esempio nerissimo, con un secco -58. Ovvero il risultato peggiore del blocco G7. Dopo di lei, per pessimismo, vengono Islanda, Regno Unito e Spagna. Bene invece la Germania: i tedeschi non danzeranno come i brasiliani, ma sono pur sempre tre volte più ricchi.

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