Società

L’OTTIMISMO NON BASTA A GENERARE LA RIPRESA

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(WSI) – «L’ottimismo non basta a generare una ripresa globale». Questo titolo, del tutto azzeccato, del «Financial Times», è l’epitaffio sui tentativi messi in atto a partire dal vertice del G20 di inizio aprile a Londra di convincere che era prossima l’uscita dalla crisi.

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Lo sforzo delle autorità politiche e monetarie era confortato dal leggero miglioramento di alcuni dati economici. Questi, in realtà, mettevano in evidenza semplicemente due fenomeni: in primo luogo che l’economia non era più in caduta verticale e, secondariamente, che le imprese stavano ricostituendo le scorte ridotte al minimo nei mesi precedenti.

In questi giorni la spugna è stata gettata dapprima dal vertice del G8 di Lecce, in cui i ministri dell’economia hanno ammesso che è ancora troppo presto per parlare di uscita dalla crisi, e poi dalla Banca centrale europea, la quale ha previsto che quest’anno e l’anno prossimo le banche dei Paesi di Eurolandia accuseranno 283 miliardi di dollari di perdite dovuti a prestiti in sofferenza a causa della pesante contrazione dell’economia.

Queste perdite sono destinate ad aggiungersi a quelle dei titoli tossici che sono ancora nascosti nelle pieghe dei bilanci e che non sono stati finora denunciati. Di transenna, è utile ricordare che il Bafin, l’organo di sorveglianza del sistema bancario germanico, stima che le sole banche tedesche abbiano ancora da denunciare più di 1’000 miliardi di dollari di perdite.

Se l’Europa candidamente riconosce i propri guai, al di là dell’Atlantico la situazione del sistema bancario è ancora peggiore, nonostante tutte le rassicurazioni della Federal Reserve e dell’amministrazione Obama.
La situazione non potrebbe essere diversa. La crisi è stata determinata dall’esplosione dei debiti di famiglie ed imprese e dal collasso del sistema bancario, travolto dai meccanismi dell’ingegneria finanziaria che esso stesso aveva creato.

Come ogni famiglia sa benissimo, la riduzione dell’ammontare di un’enorme quantità di debiti è un processo lungo (che non si può esaurire in pochi mesi). Questo processo provoca una riduzione dei consumi, che a sua volta frena la crescita economica. La recessione aumenta il numero delle persone senza lavoro e riduce le vendite delle aziende, rendendo difficile il loro risanamento finanziario. Per contrastare questa spirale recessiva e per evitare il crollo del sistema finanziario sono scesi in campo Governi e banche centrali.

Ora si può cominciare a sostenere che questi interventi di entità eccezionale hanno indubbiamente rallentato la caduta dell’economia, ma non sono stati sufficienti per avviare una ripresa. Uno studio di due noti economisti, Barry Eichengreen di Berkeley e Kevin O’Rourke, mette in luce che questa crisi sta seguendo pari pari quanto successo all’inizio della Grande Depressione degli anni Trenta.

Più precisamente, il calo della produzione industriale è uguale a quello del primo anno della Grande Depressione negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e Germania. La diminuzione è maggiore in Francia e in Italia ed è addirittura di molto superiore in Giappone. In secondo luogo, il commercio internazionale si è contratto di più e le borse hanno perso più terreno. Gli autori dello studio mettono pure in evidenza che gli interventi monetari e fiscali sono stati di dimensioni nettamente superiori a quelli degli anni Trenta e quindi vi è ancora speranza che il prosieguo della crisi sia diverso da quello degli anni Trenta.

Il problema è che i dati di fatto rischiano di essere più forti delle speranze e dell’ottimismo di facciata. La principale ragione è semplice: questi interventi di emergenza non possono essere protratti a tempo indefinito. Essi erano pensati per dare avvio ad una ripresa che producesse anche l’effetto taumaturgico di far dimenticare le cause e quindi le responsabilità dell’attuale crisi.

Basti ricordare che, nonostante le centinaia di miliardi di dollari iniettati nel sistema bancario in Europa e negli Stati Uniti, il sistema finanziario è in stato comatoso e le banche non falliscono solo perché vi è un’implicita garanzia statale. Anche il tentativo di riorientare il sistema finanziario, affinché sia uno strumento a favore dello sviluppo dell’economia reale, è stato nel frattempo archiviato, pensando di risolvere con la riforma di due regolette e un rafforzamento degli organi di sorveglianza i problemi gravissimi venuti alla luce con lo scoppio di questa crisi. Insomma, si sono spesi tanti soldi per aiutare la finanza e un po’ di soldi per rilanciare l’economia, senza aver ottenuto risultati significativi.

Quale strada verrà seguita ora? Molto probabilmente quella di raddoppiare la scommessa come in una partita a poker. Ma nell’attuale economia globale gli attuali interventi, propri di una emergenza limitata nel tempo, non possono essere continuati a lungo, anche perché potrebbero cominciare a produrre effetti perversi, come una forte inflazione e svalutazioni competitive che porterebbero dritto dritto al protezionismo.

Ad esempio, negli Stati Uniti il disavanzo pubblico, che già quest’anno supererà il 13% del PIL, non può lievitare all’infinito, così come la Federal Reserve non può stampare nuova moneta all’infinito. Anche se Washington, alle prese con l’acuirsi della crisi e con un sistema finanziario al collasso, tenterà di seguire questa via, il limite è posto dalla fiducia degli investitori (che sono poi i Paesi stranieri) nei titoli di stato americani e nel dollaro. In proposito negli ultimi tempi si stanno moltiplicando i segnali di preoccupazione.

Le prospettive non sono allegre, perché gli Stati Uniti, e soprattutto l’amministrazione Obama, hanno rinunciato a tentare di affrontare la crisi con l’adozione di misure temporanee, atte ad attutirne gli effetti, e con progetti di riforma del sistema finanziario e del sistema monetario in grado di creare le premesse per una ripresa sana e duratura. Quest’abdicazione americana fa sì che oggi siano gli altri Paesi, dalla Cina alla Russia fino alla Germania di Angela Merkel, a denunciare i pericoli potenziali della politica seguita dagli americani. Il cancelliere tedesco ha parlato di scelte che portano al disastro e ha invitato la Banca centrale europea a non seguire le orme della banca centrale americana.

In conclusione, la ripresa non è prossima, mentre appaiono vicine altre forti eruzioni di questa crisi iniziata nell’estate del 2007 con lo scoppio del bubbone dei mutui ipotecari americani subprime.

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