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L’OMBRA DEL PLAZA SUL BIGLIETTO VERDE

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(WSI) – Anche i novizi dei monasteri buddisti di Luang Prabang, Laos, hanno chiesto un aumento dei contributi in beneficenza dall’Occidente: in kip, valuta locale, il dollaro ha perso il 10%. «Il biglietto verde alla fine si dovrà deprezzare rispetto a tutte le monete», dice Olivier Blanchard.

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L’economista francese del Mit di Boston giorni fa lo ha spiegato in un seminario riservato anche ai governatori e ai ministri dei «Sette Grandi» a Washington. Più o meno dai giorni di quel G7 l’euro in realtà è già salito del 5% rispetto alla moneta Usa, tutta sabbia negli ingranaggi dell’export «made in Europe». Anche lo yen è ai massimi da otto mesi sul biglietto verde. Ma né i responsabili europei, né i giapponesi sembrano nervosi.

Tutti segnali che nel G7 di Washington in aprile è maturata un’intesa fra Paesi avanzati (Cina dunque esclusa) per seguire la ricetta Blanchard. La stessa applicata in modo più plateale con gli accordi del Plaza del 1985: una svalutazione graduale e limitata del biglietto verde per frenare la corsa dell’indebitamento Usa. Anche quella serve a evitare che il debito netto degli Stati Uniti con l’estero superi il 100% del Pil in meno di dieci anni. L’America deve importare meno e esportare di più. Purché non tutti gli investitori decidano di seguire le indicazioni del G7 allo stesso tempo. Il rischio di un crollo del dollaro, in quel caso, non sarebbe remoto.

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