Dal Wall Street Italia cartaceo, l’intervista a David Levey, managing director di Moody’s e responsabile dell’area Euro.
Le stime sulla crescita del Vecchio Continente continuano ad essere riviste al ribasso. Significa che la ripresa e’ rimandata al 2004?
Indubbiamente le previsioni sono molto piu’ pessimistiche di sei o anche tre mesi fa. Se l’Europa registrera’ una crescita quest’anno, essa sara’ minima. Il problema principale e’ la Germania, dove le probabilita’ di una ripresa sono veramente poche. Non bisogna sottovalutare poi la debolezza del mercato del lavoro e l’incertezza sul fronte geopolitico. Il Pil potrebbe accelerare nella seconda parte dell’anno, ma non sara’ niente di simile alla crescita potenziale dell’Europa, quel 2-2,5% che vedremo solo nel 2004. Al momento le economie stanno performando nettamente sotto le loro possibilita’.
E per quanto riguarda l’Italia?
E’ uno dei Paesi europei a crescita piu’ lenta, anche se non ai livelli della Germania. Un grosso problema nell’area Euro sono i rigidi parametri fissati dal trattato di Maastricht sul rapporto deficit/Pil (3%, ndr). Le forti pressioni su Italia, Germania e Francia per impedire al disavanzo di espandersi troppo rischiano di essere una vera palla al piede per l’economia del Vecchio Continente.
Che cosa manca per tornare a crescere?
Nel breve la ripresa italiana dipendera’ dalle politiche fiscali e monetarie, oltre che dalla ripresa del resto del mondo, e soprattutto degli Stati Uniti. Nel lungo termine il Paese dovra’ affrontare problemi di natura strutturale, quali il sistema pensionistico, le privatizzazioni e la rigidita’ del mercato del lavoro. Fondamentale sara’ in particolare migliorare la produttivita’, la competitivita’ e l’efficienza delle aziende.
Quanto durera’ il Supereuro e quali sono i suoi effetti sull’economia del Vecchio Continente?
La debolezza del dollaro potrebbe durare a lungo. Nel breve, il rafforzamento dell’euro ha effetti negativi sull’economia perche’ rende l’export piu’ costoso e quindi meno competitivo. D’altro canto una valuta piu’ forte ha anche dei benefici, come la riduzione delle pressioni inflazionistiche, che permette alla Bce maggiore flessibilita’ per tagliare i tassi.
Riprodotto dal giornale Wall Street Italia del 19 marzo 2003, allegato a Metro