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(WSI) –
Stavolta è proprio il caso di guardare le cose al netto delle
una tantum. Perché se è vero che il deficit l’anno scorso,
stando ai dati definitivi dell’Istat diffusi ieri, ha raggiunto
il dato più alto da undici anni, dal 1996, il 4,4% (dal 4,1% del
2005), è vero anche che quel dato sconta due pesanti sentenze
europee, ossia gli oneri straordinari causati dalla bocciatura
dell’indetraibilità dei rimborsi Iva sulle auto aziendali e
l’accollo diretto del debito di Infrastrutture Spa. Altrimenti, il
nostro indebitamento netto si sarebbe attestato al 2,4%. E il
Pil è cresciuto dell’1,9%, il massimo degli ultimi sei anni, dopo
l’anno zero 2005 (allora crebbe dello 0,1%).
Infine, il saldo
primario, la differenza tra entrate e uscite al netto degli interessi
che costituisce un indicatore importante per la salute dei
nostri conti pubblici, dal miserrimo 0,4% è sceso ancora allo
0,2%. Ma senza le due batoste europee, sarebbe salito al
2,2%. Tre dati, tutto sommato, eccezionali. Che testimoniano
con tutta evidenza una tendenza virtuosa.
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Unico, vistosissimo neo, la pressione fiscale. L’anno scorso,
prima della finanziaria-tutte-entrate, è già aumentata di
1,7% al 42,3%, un’abnormità. Che include anche i risultati
della lotta all’evasione fiscale. In virtù di questo dato, come
rilevato più volte da Nicola Rossi, forse si sarebbe dovuta fare
una riflessione già in sede di finanziaria, sull’opportunità
di appesantire ulteriormente questo dato. Ma non è troppo
tardi per farlo adesso: con i conti pubblici sotto controllo (anche
quest’anno, la previsione di crescita al 2 per cento potrebbe
abbassare l’asticella del deficit attorno o anche al di
sotto del due e mezzo per cento) forse è il caso di alleggerire
le buste paga un po’ prima del 2009.
In ogni caso, i dati di ieri sono «motivo di rinnovata fiducia
e confermano che la linea di politica economica intrapresa dal
governo dà buoni risultati», secondo il ministro dell’Economia
Tommaso Padoa-Schioppa che però invita a «non abbandonare
la disciplina». Non sia mai.
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