(Teleborsa) – L’Italia è il Paese dell’ultimo minuto. Siamo quelli della zona Cesarini. Che riflettono e agiscono in maniera opportuna solo sotto pressione e sotto la spada che sta per cadere. Quando il bordo del dirupo è ormai prossimo e il destino sempre segnato. Non a caso la partita di calcio a noi più carà è stata, è e resterà, ITALIA-GERMANIA del 1970. Tutti sanno come andò a finire. Riflessioni meno ludiche si impongono anche nell’economia sociale, praticamente accartocciata su se stessa. E’ vero che l’Italia ha tenuto botta meglio di altri Paesi ai morsi della più recente disfatta economica, ma è altrettanto vero che il popolo italico non è abituato ad affrontare in modo programmatico i tempi migliori che verranno. Farci trovare pronti non è un’arte a noi consueta. Preferiamo, mediamente, cavarcela individualmente, pensando ognuno per se e non per tutti. Il paradosso è: I destini dell’Italia calcistica ci accomunano e quelli economici ci dividono e ci differenziano. Sempre. Ma perchè? Eppure una ricchezza, quella minima e di base, potrebbe permettere ad un paese moderno come il nostro scelte sociali, familiari, educative e occupazionali, maggiormente efficienti. Le diseguaglianze di base invece stimolano il rapporto clientelare ad ogni costo con distruzione inopportuna di risorse. Di base perchè è pure un bene che ci siano disparità economiche tra individui, ma solo nel segmento alto dei ceti sociali, cosicchè tutti possano accedere a livelli di consumo e benessere minimamente gratificanti. E il sillogismo viaggia su larga scala. Cioè in Europa. Cioè Globo. Solo che gli altri Stati programmano in maniera più efficiente, più accorta e, forse, più concreta. Il dirupo è oramai prossimo e noi scegliamo una riforma previdenziale che, se per principi applicativi era auspicabile da decenni, per diversi aspetti può risultare inadeguata e mostrare effetti strutturali tra almeno quindici anni. Che una aumento dell’età pensionabile fosse necessario è stato sostenuto da più parti e in molte occasioni. Ci si chiede perché l’Italia è costretta ad operare sempre in regime di emergenza con provvedimenti ad hoc, che normalmente sono iniqui perché toccano solo i pensionati di alcune categorie quando si sarebbe potuto legiferare sull’entrata in vigore del regime contributivo già agli inizi degli anni Duemila. E poi su questa nuova riforma pensionistica c’è il rischio, come sempre, dell’effetto annuncio che potrebbe vanificare buona parte dei risparmi previsti. In questo caso, l’effetto congiunto del ritardo delle finestre di uscita e della rateizzazione del Tfr saranno un forte incentivo, per i lavoratori, a darsela a gambe prima possibile.
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