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L’INCUBO DEL DEBITO SI CHIAMA COVENANT

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(WSI) – I covenant sono ora il peggior incubo delle piazze finanziarie, Milano compresa. Si tratta di clausole contrattuali tra società e istituti creditori che scattano al verificarsi di determinate condizioni; per esempio riconoscono alla banca creditrice il diritto di chiedere il rientro anticipato del prestito, di modificare le condizioni di un finanziamento o perfino di revocare il credito. Così gli ultimi mesi di recessione hanno obbligato un congruo numero di società a rinegoziare a prezzi «salati» i propri debiti.

«Molte aziende si trovano contratti di finanziamento tecnicamente in default – spiega l’avvocato Matteo Bragantini, partner di Gianni, Origoni e Grippo – con la rottura dei covenant determinata dai dati di bilancio del 2008. Sono vincoli sottoscritti negli anni di crescita, su previsioni troppo aggressive del business plan o su indebitamento eccessivo. E oggi ci troviamo di fronte a un covenant reset: i parametri di riferimento non cambiano ma diventa determinante la riduzione dell’indebitamento, soprattutto attraverso la cessione di asset». «Tuttavia – prosegue il legale – in un mercato in recessione il rischio è che molte transazioni non si concretizzino, obbligando quindi i protagonisti, aziende e banche, a nuove rinegoziazioni del debito nel medio termine».

CHI CERCA SOLUZIONI. Sono quindi numerose le aziende che stanno ancora facendo i conti con la rottura delle clausole di finanziamento. Come Tiscali che, recentemente, ha annuciato la rottura dei covenant sul debito (601 milioni di euro a fine dicembre) e il congelamento dei pagamenti sui prestiti bancari a lungo termine, inclusi quelli aventi scadenza nel mese di marzo (circa 11 milioni di euro). L’Isp fondato da Renato Soru ha smentito di voler ricorrere a una ricapitalizzazione sulla base dell’articolo 2446 del Codice civile e ha avviato le trattative per la rinegoziazione del debito che potrebbero passare anche dalla vendita delle attività inglesi.

Qualche indicazione in più potrebbe arrivare dal management in occasione dell’assemblea degli azionisti fissata il 29 e i 30 aprile. La situazione non è delle migliori neppure per Bialetti che, dopo aver chiuso il 2008 con un debito di 109,2 milioni (dagli 85,1 di fine 2007 su un ebitda negativo per 1,8 milioni), sta cercando di ottenere un accordo in vista di un nuovo piano industriale al 2011 previsto per giugno. Tra le ultime a dover prendere atto dell’amara situazione è stata poi Eutelia, società che offre alle imprese servizi integrati per la gestione delle infrastrutture tecnologiche e delle tlc. I covenant finanziari «non risultano più coerenti con i valori di bilancio 2008», ammette la società, che ha allo studio la cessione di asset non strategici e una ristrutturazione del debito (66,6 milioni a fine dicembre a fronte di un ebitda negativo per 9,4 milioni).

Covenant ormai anacronistici anche per Zucchi. La recessione ha colpito il gruppo tessile che ha chiuso l’esercizio con un debito di 112 milioni e un ebitda negativo di 6,6 milioni. La rinegoziazione con le banche è il corso e, a giudizio dell’ad Matteo Zucchi, potrebbe arrivare già entro giugno, passando per la cessione di quattro immobili valutati 18 milioni di euro. E ancora Socotherm, che ha chiesto alle banche una moratoria sugli obblighi di pagamento delle società italiane del gruppo e che ha incaricato Rothschild di ricercare un partner strategico. La società ha posticipato per due volte la pubblicazione dei dati 2008 (chiuso poi con un debito di 275 milioni su un risultato d’esercizio negativo per 80 milioni). Montefibre sta poi procedendo sulla strada della ristrutturazione del debito (48 milioni a fine gennaio su un Mol negativo per 7,3 milioni). Il cda del gruppo chimico ha sottoposto ai creditori un piano che prevede «un riscadenziamento dei crediti a partire dal 2010».

CHI SARÀ IL PROSSIMO? L’attenzione si concentra su società con un rapporto debt/ebitda elevato. Come Safilo che, a quanto risulta, per dormire sonni sereni dovrebbe mantenere il rapporto pari a 3,5, avendo invece chiuso il 2008 a oltre 4,5 (debito 570 milioni ed Ebitda 126 milioni). Per gli analisti inoltre il rapporto potrebbe salire nel 2009 a cinque. Per questo Safilo ha allo studio «varie soluzioni» volte «al rafforzamento della struttura del capitale», inclusa la possibile diluizione della famiglia Tabacchi (ora al 40%).

Punto interrogativo anche Stefanel. Il gruppo veneto nonostante l’aumento di capitale da 40 milioni nel 2008, avrebbe sforato i parametri richiesti dalle linee di finanziamento già sullo scorso anno (ovvero un indebitamento inferiore a 69,5 milioni rispetto ai 73,2 milioni registrati a dicembre) e, salvo dismissioni a breve (la tedesca Halliburton, o il 50% di Nuance), potrebbe avere problemi nel riportare il debito 2009 sotto i 41 milioni. I broker seguono poi con attenzione alcuni gruppi sotto pressione, come Aedes, Risanamento o Autogrill; quest’ultima dovrebbe avere come vincolo un rapporto tra debito netto e margine operativo a 3,5. La società ha chiuso il 2008 con un debito di 2,16 miliardi e un ebitda di 601 milioni, garantendo che i vincoli saranno rispettati.

Qualche timore però rimane: le acquisizioni degli anni d’oro pesano sulle spalle del gruppo e la crisi potrebbe intaccarne i margini. Insomma, alla fine il vero problema per un azionista di minoranza è il mistero che spesso avvolge una materia vasta e disomogenea, in cui non sono previsti particolari obblighi di comunicazione. Un’«asimmetria d’informazione», chiosa Bragantini.

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