Società

L’impoverimento dei ricchi. Troppo affidamento su una ricchezza che non era la loro

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(WSI) – Siamo alle soglie di una nuova recessione? Insomma, del temuto double dip? I dati della settimana appena trascorsa parlano chiaro: rallenta tutto. La disoccupazione (reale) in America aumenta di nuovo, i cantieri si stanno fermando, gli ordini diminuiscono. Anche dalla Cina é arrivato un segnale di decelerazione, forse voluta. Senza scomodare i teorici del double dip (cioè di una ricaduta pesante della crisi), va detto che poteva apparire troppo bello che la crisi più violenta della storia del mondo globalizzato si potesse risolvere in meno di diciotto mesi. E infatti, forse, qualcosa di più profondo rischia sconvolgere questa illusione.

In realtà in molti avevamo avvertito della possibile decelerazione nella seconda metà dell’anno, però l’entusiasmo per la nuova crescita ed il vigore stesso del recupero avevano preso il soprav­vento. Poi le speculazioni contro l’euro, la comparsa della crisi greca e di qualche altro paese europeo avevano messo avanti altri problemi. Infine, come conseguenza di tali nuove mini crisi, l’orientamento dei governi verso politiche più restrittive che espansive ha completato il quadro. Che ora sembra ben brutto. Forse non é un caso che il dollaro verso la fine della settimana si sia di nuovo indebolito. E se anche qualche europeista ad oltranza ha voluto vedere più un euro in rafforzamento che la valuta americana venduta con decisione, bisogna stare attenti.

Il clima è cambiato. Dai blog più frequentati, ad esempio, arrivano segnali di paura, di insoddisfazione crescente, di ritorno alla situazione di più di un anno fa, che sembrava debellata. Pensiamo pertanto alle conseguenze di tutto ciò. La prima – e più evidente, logica – é che le borse dovrebbero continuare ad indebolirsi. Lo Standard & Poors 500 che va sotto ai minimi di febbraio é un segno inequivocabile e il consensus dei più realisti é che possa cedere – a breve – un ulteriore dieci per cento. Lo stesso andamento di venerdì degli indici americani ha dimostrato che – pur con volumi scarsi – la volatilità era forte, le spinte “politiche” verso l’alto erano robuste, ma alla fine tutti e tre i principali indici hanno chiuso in negativo.

Con un ripiegamento sul finale che ha molto insospettito. Altra conseguenza dovrebbe vedersi sul cambio euro dollaro che, come si era già scritto, sembra aver già finito la sua scivolata verso la parità e la cosa più probabile é che il canale 1,20 – 1,30 (forse 1,15 – 1,25) resti, almeno fino alla fine dell’anno, il riferimento centrale. E le tante banche che preconizzavano un crollo senza fine della valuta europea saranno probabilmente deluse. Tra l’altro la Germania continua ad assumere, il tasso di disoccupazione scende ormai in modo costante e se anche le vendite di auto all’interno subiscono – come in tutti i paesi occidentali – l’effetto degli incentivi, quelle sull’estero hanno segnato un aumento del 26 per cento solo in giugno. E il paese comincia a credere in un crescita globale di almeno il 2 per cento quest’anno.

Qui la conseguenza ipotizzabile é che la Germania diventi veramente la padrona d’Europa. L’ultima delle conseguenze riguarda il vero, unico e solo protagonista della recente crisi: il debito. Che infatti aumenterà perché i governi (centrali e regionali) non potranno che allargare i propri bilanci per far fronte alle esigenze di banche, imprese e cittadini. Poi arriveranno le banche e le imprese a chieder altri soldi. Ciò produrrà inevitabilmente un innalzamento dei tassi se non altro per la concorrenza tra emittenti.

Conseguenza delle conseguenze: un impoverimento globale della parte ricca del mondo, parte che ha vissuto da cicala negli ultimi venti anni usando soldi più virtuali che reali. Pertanto non certo un dramma enorme, specie se é solo un ridimensionamento, però un bel problema, specie per certe classi di reddito che hanno fatto eccessivo affidamento su una ricchezza che – alla fine, ma bastava un po’ di attenzione per accorgersene – non era loro.

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