Quello che sta accadendo in Europa (l’Europa – lo ribadiamo – sta morendo nel semestre italiano) ha una rilevante conseguenza di politica interna: l’impianto politico e ideale su cui è stata impostata la lista unica del centrosinistra e il manifesto firmato da Prodi che ne è il fulcro, descrive oggi un progetto in ritirata, un’ipotesi federalista che appare sempre più improbabile, e si definisce dunque più come un programma di opposizione che di governo, nell’Europa che verrà.
L’esecutivo di centrodestra, partecipando attivamente al picconaggio dell’Europa che c’è, sta da un lato dandosi quel piccone sui piedi (se fallisce la Cig, fallisce anche il semestre di Berlusconi) ma allo stesso tempo sta indebolendo programma e leader con cui il centrosinistra va alle europee.
Partiamo dal cuore del problema: il direttorio franco-tedesco. E’ stato a lungo corteggiato dal centrosinistra come l’unico modo di far funzionare un’Europa che a 25 rischiava di diventare una mera area di libero scambio. E’ stato difeso quando ha spaccato l’Europa sulla guerra all’Iraq, anticipando il suo no a prescindere dall’Onu. E’ stato sostenuto anche quando resisteva a scelte giuste, come l’accettazione della candidatura turca nella Ue, sempre in nome di un’Europa europea e non atlantica, di un’Europa anzi alternativa alla superpotenza, in ossequio alla teoria chiracchiana di un nuovo multipolarismo internazionale.
Ora il direttorio franco-tedesco è venuto allo scoperto nel suo aspetto più brutale, imponendo la sospensione del Patto a difesa dei proprii deficit. Si badi bene: non la riscrittura del Patto, che tutte le persone più sensate – noi tra questi – indicavano come l’unica via d’uscita possibile dalla sua inattualità. Ma la sospensione del Patto. Prodi può essere accusato di aver detto che il re era nudo e che il Patto era stupido e di non aver poi avuto la forza di cambiarlo prima che affondasse. Ma troppo spesso si dimentica di aggiungere che sono state Francia e Germania a impedire che il Patto fosse riscritto.
Vogliono tenerselo, pensando che tornerà buono un giorno per mettere in riga un altro Portogallo, e magari l’Italia. Ma finché sono i loro deficit ad essere in difficoltà, lo vogliono sospeso. Così lo uccidono. Non è detto che sia un male, se saranno capaci di sostituirlo con qualcos’altro, perchè è evidente che l’Eurozona non può andare avanti senza una qualche regola comune. E, del resto, non avrebbe senso strangolare vieppiù le due più grandi economie d’Europa alla vigilia di una possibile ripresa internazionale. Ma, al momento, si continua con l’ipocrisia: invece di cambiare il Patto, lo violano.
Si tratta di un caso tipico di retorica europeista e di pratica nazionalista. Chi proponeva di cambiare il Patto era sospettato di scarso europeismo. Ora invece si vede che l’unico modo di salvarlo era riscriverlo: ciò che non funziona, prima o poi muore.
Lo stesso dicasi per l’Europa federale che il centrosinistra propugna e che vorrebbe scrivere nella Costituzione europea. Con i tempi che corrono, è già assai se avremo un Trattato, alla fine di questa avventura. Figurarsi una Costituzione. E figurarsi una Costituzione federale. Così, per l’eterogenesi dei fini, il centrosinistra che attacca i suoi mentori Chirac e Schroeder sul Patto, finisce schierato con Aznar, cioè con l’uomo che più di tutti, insieme a Varsavia, vuole impedire l’Europa federale.
Qualche giorno fa abbiamo segnalato come l’agonia del progetto della Grande Europa possa produrre effetti seri e gravi per la collocazione e la funzione internazionale dell’Italia, e dunque sulla politica estera del governo italiano, che rischia di veder naufragare la barca comune proprio mentre ne è al timone.
Ma non si può davvero ignorare come quella agonia faccia invecchiare di colpo, nello spazio di un mattino, la base stessa dell’europeismo del centrosinistra italiano. Il quale ha oggi due solo strade: o è coerente fino in fondo, e sostiene fino in fondo il direttorio franco-tedesco, fino ad accettarne la trasformazione in diarchia, magari con quell’accelerazione del nucleo duro cui allude Ciampi, fino a mettere nel conto la rottura storica di un Trattato nel Trattato, che disfi la grande Europa e ne edifichi una piccola ma coesa dei fondatori, inevitabilmente diretta da Berlino e Parigi.
Oppure scende a patti con la realtà e prova a salvare l’Europa che si può salvare, che è a 25, che rifiuta egemonie, che è fatta di alleanze trasversali e contingenti, e che in qualche modo è anche a la carte. Il bluff della Convenzione, che ha tentato di tenere il piede in due staffe, è stato visto da Francia e Germania. Da oggi, è per tutti l’ora delle scelte.
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