Società

L’EURO SALE,
L’UNIONE SCENDE

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la Bce ha confermato le attese, e non ha toccato i tassi d’interesse. Il risultato è il quinto record consecutivo dell’euro, salito sopra quota 1,215 sul dollaro. Tutti gli analisti si aspettano che l’ascesa prosegua, superando quota 1,3 se non 1,4. Rispetto ai minimi di 0,82 euro per dollaro dell’ottobre 2000, sarebbe una rivalutazione del 60 per cento. Un apprezzamento tale da buttare fuori mercato le merci persino di paesi in gara con la produttività americana.

Figuriamoci quando invece si applica all’eurozona, che nel 1995-2000, secondo gli stessi dati della Commissione europea, ha registrato sugli Stati Uniti un gap di produttività del 9 per cento se misurata per occupato, e del 4,5 per cento per ora lavorata. Può sembrare un paradosso, che si apprezzi la moneta di un’area che cresce poco, non ha varato e non ha in cantiere se non timide riforme sul lato dell’offerta e del taglio alle tasse, e che per di più il 25 novembre ha visto all’Ecofin la morte del Patto di stabilità.

Ma il paradosso è solo apparente. Il doppio deficit che grava sugli Usa, quello di bilancio e quello sull’estero della bilancia dei pagamenti, spinge il dollaro verso il basso con ragioni più forti delle debolezze dell’economia reale europea, compressa nelle sue rigidità ma rispetto a quella americana in equilibrio esterno. Motivo per cui, decidendo di tenere tassi d’interesse di un punto percentuale più alti di quelli praticati dalla Federal Reserve, i banchieri centrali di Francoforte sanno bene quale sarà la conseguenza.

Sul mercato delle valute resterà conveniente convertire attività denominate in dollari in altre in euro. Idem tra yen ed euro, con l’aggravante che lì il differenziale dei tassi è più marcato. Con questa strategia, il presidente della Bce Jean-Claude Trichet si rivolge ai governi europei, senza perder tempo con la Commissione Prodi. Tanto è vero che anche ieri Trichet ha “preso atto dell’impegno che Francia e Germania hanno assunto per correggere i propri deficit eccessivi il più rapidamente possibile ed entro il 2005”.

Tamquam si vulnus non esset, in nome del realismo. Ormai quelle della Commissione a fine mandato sono polemiche prive di denti. Al contrario, dalla rivalutazione dell’euro guidata da Francoforte, i premier nei diversi paesi ricavano un aggravamento delle ragioni di scambio alle quali possono solo rispondere con le riforme del mercato e del welfare che sin qui non hanno fatto, o hanno diluito. E’ una strategia rischiosa, e con margini di autolesionismo, rispetto all’abbassare i tassi facendo rialzare di qualche frazione di punto l’inflazione. Ma è figlia della miopia di una politica che in questi anni sempre più si rendeva conto dei limiti del Patto di stabilità, senza per questo mai cambiarlo con proposte alla luce del sole.

Come ieri scriveva Francesco Giavazzi sulla Voce.info, “il guaio che la Commissione ha combinato rifiutandosi per mesi di rivedere regole che il suo stesso presidente in un momento di sincerità definì ‘stupide’, è molto serio. Prima dell’Ecofin il Patto era migliorabile, perché le regole non erano mai state violate e quindi erano credibili. Ora nessuna regola è più credibile: quindi pensare di migliorare il Patto è tempo perso. Peccato.

Ora l’euro dovrà convivere con politiche fiscali sostanzialmente prive di altri vincoli che non siano quelli (deboli) che offrono il mercato e le agenzie di rating”. Ha ragione Milton Friedman Che la Commissione Prodi sia finita fuori dal ring, lo testimonia non solo l’inutile asprezza con cui Pedro Solbes ha ribattuto alla ricostruzione “costruttiva” che Giulio Tremonti ha dato dell’Ecofin al Parlamento europeo.

Ma anche la mancanza di calore con cui i governi hanno accolto le sue proposte di rafforzamento dei propri poteri, al tavolo della Conferenza intergovernativa: come rafforzare la Commissione, senza sapere in vista di quali regole da applicare? Dulcis in fundo, il grave incidente capitato ieri, che ha fatto ancor più imbestialire Solbes.

Lo studio ordinato dal commissario al suo direttore generale Klaus Regling, intorno alla possibilità per la Commisisone – ex articoli 59, 119 e 120 del Trattato – di ripristinare straordinariamente vincoli alla libertà di circolazione dei capitali, per arrestare l’apprezzamento dell’euro. Un autogol clamoroso, visto che la libera circolazione dei capitali s’identifica con l’unica vera ragione sin qui realizzata dell’Europa. “Che fosse Solbes a dare ragione a Milton Friedman e ai suoi moniti che l’euro porta l’Europa alla rovina, non me lo sarei proprio aspettato”, commentava ieri Oliver Letwin, cancelliere ombra dei tory britannici.

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