L’euro è salito, oltre che sul dollaro, anche rispetto alla sterlina: nel novembre 2002 valeva 0,63 sterline, un anno prima 0,61 e ora 0,65. L’euro era certamente sottovalutato rispetto alla sterlina, in termini di potere di acquisto, tanto che il Pil italiano pro capite è uguale a quello britannico se misurato a parità di potere d’acquisto, ma inferiore del 28 per cento se valutato al cambio ufficiale euro-sterlina del 2001.
Ma l’attuale miglioramento dell’euro non induce il mondo degli affari britannico a desiderare di entrare nell’area della moneta unica. Le simpatie per l’euro si vanno raffreddando con il suo rafforzamento. Prima, fra i britannici, vi era una divisione fra grande e piccola industria. Nel ’97 i big erano, per il 70 per cento, proeuro, contrariamente alla grande maggioranza della popolazione. Le piccole imprese erano divise, ma sostanzialmente freddine.
Un recente sondaggio dà invece il 50 per cento delle 500 maggiori compagnie contro l’ingresso di Londra nell’euro, il 40 per cento a favore e il restante 10 per cento “non sa”. L’associazione inglese delle Camere di commercio ha intervistato migliaia di imprese, in gran parte medie e piccole: a favore dell’ingresso nell’euro nel prossimo biennio c’è il 35 per cento, i contrari sono il 49.
Ormai l’intera economia britannica guarda all’euro con un misto di ostilità e incertezza. L’euro fluttua troppo, prima era basso, ora è alto e questo crea diffidenza.
D’altra parte quando l’euro era basso e la sterlina alta, gli esportatori inglesi grandi e piccoli temevano la deindustrializzazione. Ora che l’euro si apprezza, non vi è motivo per le imprese britanniche, inserite nel commercio internazionale, di temere per la sopravvalutazione della moneta nazionale. Invece si preoccupano perché Bruxelles sgrida gli Stati con i bilanci in deficit.
Dopo un certo numero di governi laburisti, il tesoretto frutto dei buoni bilanci della Thatcher si è esaurito. Ora Londra fatica a tenere il 3 per cento di disavanzo. E teme le bacchettate che le verrebbero, se dovesse sottostare al Patto di stabilità europeo, sia pure emendato. Meglio rimanerne fuori e criticare chi, nell’euro, fa una certa fatica a stare in riga.
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