(WSI) – Che anno per l’euro! Lo spettacolo si è aperto con una tragedia greca e si chiuderà con una euro-farsa. La Grecia ha scoperto di non poter pagare i creditori, l’Irlanda pensava di poterlo fare ma si sbagliava, mentre Portogallo e Spagna pensano di potercela fare ma non ce la faranno. E 1′ eurocrazia ha risposto con la promessa farsesca di istituire una struttura non ben definita per raccogliere una somma ancora non ben calcolata per pagare una percentuale ancora indeterminata di questi conti. Germania permettendo.
Un aspetto interessante dell’anno che sta per concludersi è che i tumulti dei mercati valutari hanno dato ragione agli euroscettici (un’unione monetaria che non sia accompagnata anche da un’unione fiscale non è sostenibile sul lungo periodo), ma sono stati comunque una vittoria per coloro che hanno sempre consideratola nascita dell’euro il primo passo fondamentale verso l’unità politica. Il 2010 ha costretto i mercati a riconoscere l’esistenza di differenze strutturali tra il sud e il nord dell’Europa. I Paesi dagli enormi deficit di bilancio non saranno più in grado di ottenere prestiti alle stesse condizioni della Germania.
I trasferimenti di reddito verso la Spagna non potranno più mascherare la dipendenza del Paese da un boom immobiliare poco sostenibile, alimentato da banche pronte a concedere prestiti sulla base di prove insuffici&nti della capacità dei debitori di restituire i finanziamenti. E il Portogallo non sarà più in grado di convincere i mutuanti a fornirgli credito a condizioni ragionevoli ignorando l’incapacità dell’economia lusitana di raggiungere un livello percepibile di crescita.
In altri termini, la festa è finita. Ma ora ne è iniziata una nuova, in cui l’ eurocrazia e la Germania fanno i padroni di casa, la prima mettendo a disposizione lo spazio per riunirsi e la seconda i soldi. Quest’anno sono stati serviti gli antipasti: il salvataggio della Grecia e dell’Irlanda quando i mercati internazionali hanno effettivamente sbarrato l’ingresso ai due Paesi. Poi è arrivato il piatto forte: la definizione di meccanismi che garantiscano ai prestatori che nessuno dei Paesi invitato all’europarty fallirà. Infine, il dessert: una deliziosa confettura che promette a tutti che non si verificherà mai più una crisi come questa, perché ora i soci del club sono pronti a seguire il percorso intrapreso dagli Stati Uniti circa 200 anni fa.
Come promisero i Padri fondatori quando fumarono la Dichiarazione d’Indipendenza: «Ci impegniamo con la nostra vita, le nostre fortune e il nostro sacro onore». sottolineando in questo caso la parola «fortune». Ogni altro evento avvenuto in Eurolandia nel 2010 diventa secondario rispetto alla decisione di istituire dei meccanismi che sostituiscano (alcuni dicono integrino, altri monitorino) le decisioni di politica fiscale prese a livello nazionale con il controllo da parte di Bruxelles, modificando all’occorrenza il Trattato di Lisbona. Questo è il passo che i padri fondatori dell’euro hanno sempre saputo che un giorno sarebbe stato necessario. Quel giorno ora è arrivato ed essi ne sono felici. O quasi.
Perché il prezzo di questa «unione più perfetta» (per rifarci ancora una volta all’esperienza americana, in questo caso al linguaggio della Costituzione) è permettere alla Germania di diventare molto più che un prirnus inter pares. La Germania è il ragioniere capo e il prezzo dell’utilizzo del suo rating creditizio e della forza della sua economia, ancora in espansione, è la sottomissione ai desideri di Angela Merkel. Dopo tutto, se circa metà del suo elettorato sogna il ritorno al deutschemark e una percentuale ancora maggiore non è stata contenta di pagare il conto dei greci invitati alla festa, la Merkel non ha altra scelta che pretendere controllo in cambio di fondi.
Come ha affermato Peter Zeihan di Stratfor Global Intelligence, «la Germania sta cercando di barattare i benefici forniti con il diritto di apportare adeguamenti politici che normalmente spetterebbero a un’unione politica. E un piano decisamente astuto…». Ecco quindi come finisce l’anno per I’euro. Grecia, Irlanda. Portogallo e Spagna dovranno ristrutturare il debito pubblico e la Germania informerà gli investitori che questo processo potrebbe comportare eventuali svalutazioni.
Quando i Paesi indebitati ristruttureranno, le rispettive banche, insieme a quelle della Germania e di altri Paesi dovranno svalutare parte dei titoli di Stato e corporate in bilancio, proprio nel momento in cui dovranno aumentare il capitale per rispettare i nuovi requisiti di Basilea 3. Ciò ridurrà la capacità di finanziare la crescita nel momento in cui l’austerità si farà sentire di più a causa delle condizioni imposte dal Fmi, dalla Bce e dalla burocrazia di Bruxelles, quest’ultima per conto della Cancelliera Merkel. Nel frattempo la Bce fa la sua parte: la settimana scorsa ha quasi raddoppiato l’acquisto di titoli di Stato per prevenire l’aumento dei tassi di interesse.
Ed ecco la farsa. Tutto questo impegno sulle questioni interne ha ridotto il peso dell’Unione Europea sullo scacchiere globale, cioè l’effetto contrario a quello che gli eurofili si aspettavano da un’unione più stretta. In un rapporto interno della Ue si legge: «L’Europa non è più la principale preoccupazione strategica della politica estera Usa. Gli Stati Uniti sono sempre più alla ricerca di nuovi partner per risolvere vecchi e nuovi problemi». E quel che è peggio, mentre l’anno volge al termine, i protagonisti di questa farsa sono accorsi a un nuovo incontro, stavolta a Pechino. La Cina sta investendo fondi in Africa e altre regioni in via di sviluppo per procurarsi risorse e, soprattutto, influenza e ora, come afferma il vicepremier cinese Wang Qishan, sfrutterà la sua nuova ricchezza per sostenere l’Eurozona. «Apprezziamo il supporto della Cina» ha risposto 011i Rehn, commissario europeo per gli affari economici e monetari. Lo apprezzano anche i suoi omologhi dei Paesi in via di sviluppo.
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