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L’EREDITA’ DEL POLO

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(WSI) – Possiamo vedere il bicchiere mezzo pieno: finalmente il governo Prodi è nato, la qualità dei ministri è accettabile, la fittissima presenza di leader di partito dovrebbe assicurare una certa stabilità, il numero di donne ministro è triplicato rispetto a quello del governo Berlusconi, rispetto a cinque anni fa l’età media dei ministri è scesa di un anno (con questo ritmo, nel 2091 avremo finalmente un governo di quarantenni).

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Oppure possiamo vedere il bicchiere mezzo vuoto: per un mese intero, giorno e notte, hanno parlato solo di poltrone; i ministeri affidati a donne sono meno di uno su quattro (Prodi ne aveva promessi uno su tre); tutte le donne ministro, eccetto Livia Turco, hanno dovuto accontentarsi di un ministero «senza portafoglio»; il numero dei ministeri è cresciuto ancora, superando lo «scandaloso» aumento già prodotto dal governo Berlusconi; il famigerato e a suo tempo dileggiatissimo «ministero per l’Attuazione del programma», inventato da Berlusconi per sistemare Pisanu, è sopravvissuto per dare una poltrona a un fedelissimo di Prodi.

Personalmente non mi annovero fra i delusi, se non altro perché non mi ero mai illuso. E anche perché un governo va giudicato soprattutto per quel che fa. La squadra messa in campo può piacerci oppure no, ma almeno su una cosa possiamo convenire tutti: finalmente non si parlerà più di formazioni, e potremo assistere alla partita.

Che tipo di partita ci aspetta nella XV legislatura?

A occhio e croce tre mi sembrano i grandi punti interrogativi che incombono sui prossimi anni. Il primo punto interrogativo è quello dei conti pubblici. Non ce l’hanno ancora voluto dire ufficialmente, ma tutto fa pensare che il centro-destra lasci un buco di bilancio ancora maggiore di quello a suo tempo lasciato dal centro-sinistra. Quando i conti pubblici saranno stati aggiornati, con ogni probabilità dovremo constatare che mancano circa 30 miliardi per scendere sotto il 3% di indebitamento netto, e ne mancano altrettanti per non fermare le grandi opere già approvate e aggiudicate. In parole povere, Padoa-Schioppa (ministro dell’Economia) dovrà effettuare entro l’anno prossimo una correzione strutturale dei conti pubblici dell’ordine di 30 miliardi, mentre Di Pietro (ministro delle Infrastrutture) dovrà reperirne almeno altrettanti, fortunatamente su un arco di 2-3 anni. Come faranno?

Il secondo punto interrogativo riguarda le riforme e gli interventi che non costano nulla in termini economici, ma costano tantissimo in termini di consenso: ridurre i costi della politica, staccare la Rai dalla morsa dei partiti, sottrarre la sanità ai burocrati e ai faccendieri, contenere gli sprechi nella pubblica amministrazione, riprendere il cammino delle liberalizzazioni. Fare queste cose è importante perché da esse dipende non solo la qualità della nostra convivenza civile, ma anche la tenuta dei conti pubblici e la ripresa della competitività. Per fare queste cose ci vuole determinazione, compattezza, e tanto coraggio politico: ne avrà a sufficienza la squadra di Prodi?

Ma l’interrogativo più importante è forse l’ultimo, e ha che fare con l’eredità del centro-destra. Che cosa farà il centro-sinistra delle tantissime riforme del centro-destra?

Queste ultime rientrano in due grandi gruppi. Da un lato le riforme che più o meno rapidamente e convintamente saranno cancellate, perché su di esse il giudizio del centro-sinistra è unanimemente negativo: leggi ad personam, legge sulla tv, riforma della giustizia, riforma costituzionale, legge elettorale. Dall’altro le riforme che, più o meno segretamente, una parte del centro-sinistra approva (pensioni), o vorrebbe solo completare (legge Biagi), o critica perché troppo timide (università). Su queste riforme il centro-sinistra non potrà riproporre lo schema manicheo che ha dominato la campagna elettorale, e che ha portato a demonizzare l’azione di governo e a disprezzarne ogni risultato. Sulla riforma del sistema previdenziale, sul mercato del lavoro, sui problemi dell’educazione e dell’istruzione, un centro-sinistra maturo non potrà che misurarsi con le realizzazioni e le idee della destra. Perché le realizzazioni, comunque le si giudichi, non sono certo mancate, e sulle idee non è detto che – in questo momento, e per come è messa l’Italia – alcune idee della destra non siano migliori di quelle della sinistra.

Un dialogo di questo tipo, saldamente ancorato alle cose che sono state fatte e a quelle che dobbiamo ancora fare, non può che fare bene alla nostra democrazia, e forse è destinato a far bene anche alla nostra economia. Per avviarlo, tuttavia, occorre una destra non incattivita dalla sconfitta, come occorre una sinistra meno inebriata dalla vittoria, e per nulla tentata dalla vendetta. Occorre che da entrambe le parti si depongano le ideologie, si plachino gli animi, e si cominci a ragionare sui problemi. Soprattutto, occorre che i riformisti e i liberali di entrambi gli schieramenti battano un colpo. Gli spiriti liberi non mancano né a destra né a sinistra. Come mai hanno tanta paura di venire allo scoperto?

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