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L’era del rapporto prezzi/utili e’ finita? Basta guardare i conti

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Quanto un investitore e’ disposto a pagare per mettersi in portafoglio un determinato titolo? A questa domanda risponde la sigla P/E, ossia il rapporto tra il prezzo di un’azione (quanto effettivamente costa acquistarla sul mercato) e gli utili che la società è in grado di produrre.

Da sempre seguito dagli operatori di mercato, tale indicatore ha sempre funzionato nel modo seguente: tanto piu’ un’azienda registra utili in miglioramento, tanto piu’ i relativi corsi azionari sono impostati al rialzo. Tutto cio’ si traduce in un rapporto prezzi/utili piu’ sostenuto.

Questo legame di causalita’ sembra pero’ essersi indebolito. Basti dare un’occhiata ai conti delle societa’ americane: nel secondo trimestre hanno messo a segno utili record, tanto da battere le stime in media di almeno il 10%. Peccato che l’azionario sia scivolato del 5% e il P/E sia risultato in caduta libera. Qualche numero a dimostrarlo: -36% nell’ultimo anno, equivalente al maggior calo dal 2003. Tale valore, basato su 12 mesi di utili societari monitorati, si aggira intorno a quota 14.9 contro un 23.1 del settembre 2009. Se si prendono in considerazione le attese per i prossimi 12 mesi, le cifre scendono a 12.2 da 14.5 di maggio.

Come si spiega una simile contrazione? Semplice, fanno notare alcuni esperti: l’incertezza sull’andamento dell’economia, che ha portato gli analisti a tagliare le loro stime sui profitti aziendali per il 2011. “Le persone vogliono chiarezza prima di prendere decisioni riguardanti il loro denaro da investire”, ha commentato Tobias Levkovich, a capo dell’azionario americano per Citigroup Global Markets a New York

Tre mesi fa, gli uffici studi delle principali istituzioni finanziarie si aspettavano un +18% dei profitti 2011 per le societa’ quotate sull’S&P 500. Ora i piu’ ottimisti vedono un +15% ma, stando a un recente sondaggio realizzato da Citigroup, hedge fund, fondi pensione e money manager in generale stimano un +9%. “La sostenibilita’ degli utili e’ in dubbio”, ha commentato sulle colonne del Wall Street Journal Howard Silverblatt, analista di S&P a New York.

In maggio la differenza tra le previsioni piu’ positive e quelle piu’ caute sugli utili per azione 2011 delle aziende parte dell’indice benchmark di Wall Street era pari a $12. Morgan Stanley prevedeva $85 per titolo contro quota $97 di Ubs, per esempio. Adesso lo spread e’ salito a $15. Barclays stima $80 per azione contro $95 di Deutsche Bank. Insomma, simili divergenze stanno a indicare che c’e’ mancanza di chiarezza. Non a caso il P/E tende a calare quando l’incertezza cresce. “Il valore di un titolo riflette le aspettaive per i suoi utili futuri, ma non si puo’ dimenticare anche l’incertezza del contesto in cui opera”, ha ricordato Jeremy Siegel, professore di finanza alla Wharton Shool dell’Universita’ della Pennsylvania.

Una contrazione dei P/E e’ comunque considerato normale in tempi di crisi economica. Basti ricordare i valori durante gli anni ’30 (anni di deflazione) e dopo la Seconda Guerra Mondiale, arrivati a 5.90 nel 1949. Nel corso degli anni ’70 (anni di inflazione) sono nuovamente calati a 6.97 (nel 1974) e a 6.68 nel 1980. Un aspetto in comune di queste fase: gli eventi di ampio respiro hanno avuto la meglio sulle valutazioni di una singola azienda e le performance economiche sono diventate imprevedibili.

“Stiamo per entrare in una fase in cui la volatilita’ dell’economia americana sara’ maggiore di quella esperita negli anni ’30”, ha concluso Doug Cliggott, U.S. equity strategist di Credit Suisse con sede a Boston.

Il rapporto prezzi/utili non solo sta perdendo valore ma anche importanza. Questo e’ il riflesso di stime considerate meno affidabili. A cio’ va aggiunto che gli investitori ormai si concentrano su eventi economici di portata globale.

Dove puo’ spingersi nel breve termine? Alcuni credono che il ratio P/E possa tornare a crescere, soprattutto se le societa’ riprenderanno a comprare titoli propri, ha sottilineato David Bianco, a capo dell’azionario di Bank of America Merrill Lynch, secondo cui la naturale conseguenza e’ un rialzo degli utili per azione.