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L’ APOCALISSE
DI ORIANA

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(WSI) – Oriana Fallaci torna in libreria, oggi, con un cofanetto che raccoglie la sua Trilogia post 11 settembre (“La Rabbia e l’Orgoglio”, “La Forza della Ragione”, “Oriana Fallaci intervista sé stessa”) riveduta, corretta e ampliata. All’intervista ha aggiunto un lungo Post Scriptum di 103 pagine, praticamente un altro libro, sempre sotto forma di colloquio con se stessa, che ha intitolato “L’Apocalisse”.

Il Foglio lo ha letto in anteprima e ve lo racconta. L’Apocalisse è la visione mistica di Giovanni l’evangelista, il racconto di “un mostro che saliva dal mare”, con sette teste e dieci corna, così forte e così potente che nessuno ebbe il coraggio di contrastarlo e al quale fu consentito di “pronunciare frasi arroganti, offendere Dio, maledire il suo nome”. Un mostro che ricevette il potere su ogni uomo e su ogni cosa e al quale fu consentito “di far guerra a coloro che appartengono al Signore”. Il Mostro, secondo Fallaci, è l’Islam, il credo in nome del quale si uccidono centocinquanta bambini a Beslan e tutte le altre orrende cose che sono accadute in questi anni. Nell’Apocalisse, ricorda Fallaci, c’è anche un altro tipo di mostro: “Un mostro che saliva dalla terra”, una “Bestia” che “prese a esercitare il potere per conto del Mostro”.

Secondo la scrittrice, la Bestia è il gruppo dei “collaborazionisti”, l’Europa che lei chiama “Eurabia”, “l’Occidente che divorato dal cancro morale fa il gioco dell’Islam. Rassegnato, soggiogato, pavido”. Sono la quinta colonna del Mostro, sono i volenterosi carnefici della nostra civiltà, quelli che inconsapevolmente lavorano ai fianchi la nostra tradizione, quelli che non hanno aperto gli occhi né l’undici settembre né l’undici marzo, coloro che nonostante le decapitazioni in Iraq e lo sgozzamento di Theo van Gogh ad Amsterdam fanno addirittura fatica a definire “islamico” il terrorismo in nome di Allah.

Lo stile letterario di Fallaci è il consueto: ricco, potente, evocativo, vivo. Per capire il suo modo di scrivere bisogna pensare a un neologismo americano: “It’s-all-about-me-journalism”. Fallaci parla di se stessa, usa la sua biografia, talvolta il suo stesso corpo e la sua malattia, per arrivare diritta al cervello e alle viscere di chi la legge. E guai a dirle che “rifarsi all’Apocalisse” per spiegare il mondo, può sembrare “un gioco intellettuale” o “un trucco letterario” o “una fantasia di scrittori” o “una fiaba”. Secondo Fallaci, “invece è la tragica realtà in cui viviamo duemila anni dopo Giovanni l’evangelista. Per capirlo basta dare un’occhiata ai giornali e alla Tv, o ascoltare le insensatezze che dicono i politicanti europei”.

Il mondo degli “sgomentevoli”

Fallaci ha ascoltato tutte queste insensatezze pronunciate da chi, in “La Forza della Ragione”, definisce uomini “sgomentevoli”. Nel tritacarne fallaciano finiscono Jacques Chirac, Laurent Fabius e, soprattutto, José Luìs Rodrìguez Zapatero. E poi Romano Prodi, chiamato più volte “Mortadella”, criticato più per come ha guidato l’Unione Europea che come leader dell’Ulivo. E poi, le due Simone, che lei chiama “le due Simonette”, ingrate con chi le ha liberate e invece grate, gratissime, con i carcerieri che in fondo le avevano trattate bene.

Anche il presidente Carlo Azeglio Ciampi viene investito dalla rabbia orgogliosa di Fallaci, così come il Corriere della Sera (“ululando come un lupo impazzito giurai che sul Corriere non avrei pubblicato più neanche il mio necrologio”), e con il Corriere le prende anche Magdi Allam (mai citato per nome), l’Islam moderato (“non esiste”), l’idea di far entrare la Turchia nella Unione europea, la Costituzione europea privata delle sue radici giudaico-cristiane, il matrimonio e l’adozione gay, Yasser Arafat, il nuovo Premio Nobel per la Pace che accusa l’Occidente di aver diffuso l’Aids per sterminare gli africani e, ovviamente, Osama bin Laden.

Fallaci rivela di aver incontrato lo sceicco in un albergo di Beirut: “Parlo del giovanotto che nel luglio del 1982 vedemmo a Beirut. Quello incredibilmente alto e dignitoso che vestito di un candido djellaba camminava per il salone del grande albergo dove c’eravamo appena trasferite, che un paio di volte girò attorno alla nostra poltrona lanciandoci un’intensa occhiata di antipatia. Anzi di ostilità”.

Figure, persone e storie apparentemente diverse e lontane, ma che Fallaci lega a un unico filo: c’è una religione che predica l’odio e lo sterminio della civiltà, e la civiltà è stanca e troppo politicamente corretta per accorgersene. Ma l’occidente non solo non se ne accorge, fa molto di più e di peggio: si adopera per accogliere l’invasione, per ridurre le difese, per sminuirsi e favorire il piano di conquista: “Il professor Bernard Lewis è un ottimista a profetizzare che l’Europa sarà tutta musulmana entro il 2100. Se non ti opponi alla nuova follia, lo sarà al massimo entro il 2017”. E mentre accade tutto questo arriva “il señor Zapatero” a buttare alle ortiche “il concetto biologico di famiglia”, autorizzando il matrimonio gay e, “quel che è peggio, mille volte peggio”, l’adozione gay.

“E questo senza che nessuno gli dicesse almeno cretino: il mondo va a fuoco, l’Occidente fa acqua da tutte le parti, il terrorismo islamico non fa che tagliarci la testa, e tu perdi tempo coi matrimoni-gay e le adozioni-gay?”. L’atea Fallaci ne ha anche per Karol Wojtyla: “Questo senza che la Chiesa Cattolica si ribellasse, senza che il Papa (di nuovo) si difendesse.

Magari tirando in ballo la Madonna di Czestochowa a cui è tanto devoto e che certo non avrebbe gradito l’iniziativa di Zapatero”. Il punto, spiega Fallaci, è che spesso l’omosessualità diventa ideologia, “come se fosse uno stato di grazia anzi di superiorità” e “la normalità uno svantaggio anzi uno stato di inferiorità”. La presunta superiorità, scrive Fallaci, ha un punto debole: “Quello che, buttando alle ortiche il concetto biologico di famiglia, il señor Zapatero finge di scordarsi. L’omosessualità non permette di procreare. Se diventiamo tutti omosessuali, la specie finirebbe. Si estinguerebbe come i dinosauri”.

Fallaci spiega a lungo questo concetto, anche attraverso il racconto di un pranzo romano con Pier Paolo Pasolini, due mesi prima della sua morte: “Per essere concepiti, ci vuole un ovulo e uno spermatozoo. Che ci piaccia o no, su questo pianeta la vita funziona così” e “nell’immagine di due uomini o di due donne che col neonato in mezzo recitano la commedia di Maria e Giuseppe vedo qualcosa di mostruosamente sbagliato”.

Il ragionamento della scrittrice trova conferme nel caso di Rocco Buttiglione al Parlamento europeo, colpevole di aver pronunciato la parola “peccato”: “Vi colsi la prova definitiva del nostro cupio dissolvi, l’ansia di autodistruzione che ormai divora l’Occidente attraverso il suo cancro intellettuale e morale”. Fallaci non ama Buttiglione, “mi irrita la sua mellifluità alla Mortadella, la sua educata spocchia alla D’Alema e la condiscendenza con cui invita a rileggere De Captivitate Babylonica Ecclesiae o Regulae ad directionem Ingenii”, ma “se non mi brucia sul rogo perché la penso in modo diverso da lui, ha il diritto d’essere cattolico come io ho diritto d’essere atea”.

Il trasferimento a Tonga

Cinque cose avevano convinto Oriana Fallaci a lasciare l’Italia per trasferirsi a Tonga (non a “Sant’Elena” perché “io per Napoleone ho sempre nutrito malevolenza”), altre quattro l’hanno fatta restare. La prima è stata la reazione di chi, di fronte a gente che ha ucciso 150 bambini in nome di Allah, ha dato la colpa a Putin. Poi il suo Corriere della Sera che ha promosso un tragicomico Manifesto sull’Islam “moderato” sponsorizzato dal ministro Beppe Pisanu e lodato da Carlo Azeglio Ciampi. L’Islam moderato non esiste, scrive Fallaci: “Il Corano è ciò che è. E i fondamentalisti, gli integralisti non sono il suo volto degenere. Sono il suo vero volto, il suo volto fedele”.

Esistono, però, i musulmani moderati, “certo che esistono, ma sono una minoranza esigua”, come Abdel Rahman al-Rashed che sul giornale Asharq al-Awsat ha scritto un articolo che Fallaci riporta per intero e il cui succo è questo: “E’ un fatto che non tutti i musulmani sono terroristi, ma è ugualmente un fatto che tutti i terroristi sono musulmani”.

Infine la pantomima delle “due Simonette”, Zapatero e il caso Buttiglione. Ma sono state la firma a Roma di una Costituzione europea “senz’anima”, il video di bin Laden (“in lui vidi qualcosa di apocalittico”), l’assassinio di van Gogh e la reazione italiota alla morte del “padre del terrorismo”, cioè di Arafat, a farla rimanere: “Non bisogna cedere. Bisogna resistere. Io non voglio cedere. Voglio resistere. Perché voglio vedere la sconfitta del Mostro, voglio vedere la vittoria dell’Angelo che lo imprigiona”.

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