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L’ ANTIPOLITICA? TORNERA’ IN PIAZZA DOPO LE FERIE

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(WSI) – L’antipolitica avanza anche nel gabinetto Prodi. Nel governo sono in atto le clementiadi, guerra civile e penale tra il partito di Clemente (Mastella) e il partito di Clementina (Forleo). Gli opposti estremismi sono Mastella e Di Pietro. Intanto da mesi serpeggia nel Paese questo borbottio crescente, che solo il caldo ora assopisce; l’antipolitica non scende in piazza perché preferisce l’aria condizionata di casa. Ma la politica, il governo, le istituzioni come rispondono?

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Il governo in (s)carica non risponde, Prodi guida il governo come un carro funebre, la politica giochicchia e le istituzioni credono di cavarsela con quattro tagli agli sprechi del parlamento. Poca roba, tanto per salvare la faccia o perlomeno tenere a bada la platea. Al resto penserà la vacanza. Il presidente della Repubblica sta difendendo a spada tratta l’establishment che lo ha eletto e il partito da cui proviene; Napolitano cura l’antipolitica con l’antimagistratura e, pur con garbo, interviene in perfetto tempismo per contenere la tremenda Clementina. I presidenti delle Camere fanno qualche sforbiciata coreografica quando ci vorrebbero sciabolate assai pesanti: è come curare il sovrappeso con il taglio dei capelli.

Si, meglio di niente, però, presidenti, dovete toccare la ciccia e non la peluria. Ci sono chilate di grassi superflui da eliminare, non milligrammi di capelli in eccedenza. Veltroni invece, ha lanciato il suo proclama in dieci punti: si è cambiato i connotati, facendosi passare per Walter Sarkoni, e ha proposto – tramite l’amico Corriere, non la compagna Repubblica – una ricetta che ha due furbe caratteristiche: risponde, seppure in modo blando, all’antipolitica e non ha segni particolari di sinistra, lo può sottoscrivere chiunque.

È così ovvio e onnicomprensivo che può essere affidato a Veltroni come a Fini, a Montezemolo come a Pupo. Blandisce blandamente il Paese intero. Lo possiamo condividere in pieno, o meglio per ampi tratti; ma anche i punti di dissenso sono così marginali che in fondo non guastano. Dubito fortemente che ci siano le condizioni per realizzarlo o anche solo per avviarlo, e dubito più fortemente di coloro che dovrebbero portarlo avanti: la sinistra, Veltroni medesimo, il nascente partito democratico. Ce li vedete a ridurre il parlamento, a potenziare il premier e il federalismo, a differenziare le due camere?

L’esperienza del passato e le biografie raccontano più dei buoni propositi e dei programmini compitini per l’estate. Una rispostina piccolina viene dai referendum che sono poca cosa anche se creano grandi spaccature trasversali nei due poli; ma nonostante i troppi guai che porta e i troppo scarsi benefici che arreca, meglio il referendum che il nulla. Anche perché sappiamo ormai da decenni che i referendum non sono mai efficaci per i quesiti che propongono, ma per il significato che assumono in rapporto al clima. Il simbolo vale più dell’effetto.

Oggi il referendum è un avviso di sfratto alla politica politicante, a cominciare dal governo in carica, e un segnale che il Paese si è rimesso in moto contro gli accrocchi di potere. Anche se tocca infime cose, il suo valore simbolico è superiore allo spiedino di proposte.

Il problema vero è come va a finire con l’antipolitica. Le ipotesi principali sono due. Uno, che la politica resti impenetrabile e immodificata, e sposti su altri terreni il conflitto in atto, al punto da dare uno sbocco depressivo all’antipolitica, che invece nel periodo tra il ’92 e il ’94 ebbe uno sbocco attivo. Ovvero maggiore lontananza, minore partecipazione, rassegnazione ed elusione, insomma abbandono e conti separati tra potere e gente. L’altra ipotesi è che rimetta in moto un ciclo innovativo; che cominci dallo sfratto al pessimo governo in carica, e cresca con una nuova legge elettorale, e poi una nuova stagione della politica.

Ma oggi i soggetti del cambiamento sono un po’ provati: c’è il referendo Mariotto Segni che forse non è vecchio ma è vecchiotto; c’è Berlusconi che sarà pure eterno ma ha superato i 70 anni, pur essendo in fondo l’unico Sarkozy in circolazione; e poi, poi chi c’è? C’è la classe politica avanzata dalla sera precedente, e altro non c’è. Movimenti nuovi voi ne vedete? Io no.
Vedo qualche segnale non malvagio di seconda fila: Enrico Letta che scende in pista come antiveltroni, Fini che decide finalmente di lavorare, candidandosi come sindaco di Roma…

Tra i sostegni dell’antipolitica non c’è più il giustizialismo, che funziona quando si crede che esista una parte sana contro una parte marcia; ma quando vedi che ci sono scarse guardie e troppi ladri, da ogni versante, e quando dubiti della credibilità dei magistrati, idolatrati al tempo di mani pulite, vuol dire che l’antipolitica euforica ha ceduto il passo all’antipolitica depressa. Eppure la politica potrà essere salvata solo dal soffio dell’antipolitica. E viceversa l’antipolitica potrà essere fertile solo se alla fine entrerà in politica. Sì, ci vogliono leader forti, ma anche un po’ alchimisti, capaci di mutare il veleno in farmaco e trasformare i politici addormentati nel sottobosco in veicoli del cambiamento. Intanto viva viva il Cavaliere, fino a nuovi arrivi. Per ora l’antipolitica si è trasferita al mare. Ma tornerà nera, e non d’abbronzatura.

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