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L’ AMERICA SCARICA I SUOI GUAI SUL RESTO DEL MONDO

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(WSI) – “Ero pessimista un anno e mezzo fa e continuo a essere pessimista. Lo so che molti vorrebbero finalmente un po’ di ottimismo, ma la situazione è quella che è e non è affatto bella. Anzi, continuano a esserci molte ragioni di inquietudine. E questo senza andare a tirare fuori il terrorismo o la situazione geo-politica. Il quadro, insomma, è già preoccupante così”.

Giovanni Tamburi è uno dei migliori banchieri d’affari della piazza milanese (pochi come lui conoscono la media impresa italiana) e è difficile ricordare l’ultima volta in cui è stato ottimista.

E’ cambiato qualcosa di recente?

“Vuol dire se rimango sempre pessimista?”

Si.

“Non vedo motivi di ottimismo intorno a noi. Per mesi e mesi abbiamo spiegato che l’economia internazionale andava frenando e che la ripresa era alle ultime battute. Oggi, vedo che questo comincia a essere consegnato anche nei documenti previsionali delle grandi banche d’affari internazionali, quelle con uffici studi che sembrano eserciti. Insomma, quella che fino a qualche settimana fa sembrava una visione un po’ estrema del mondo, adesso sta diventando una previsione con tanto di timbri e firme”.
Il boom del 2004, cioè, sta finendo?
“Giudichi lei. Possiamo prendere una previsione a caso. Questa che ho in mano è della banca Schroder, e forse non sono nemmeno quelli che vedono più nero. Ebbene, fra il 2004 e il 2005 l’America passa da una crescita del 4,3 per cento a una del 3 per cento. L’area euro dall’1,8 per cento all’1,5. Il Giappone dimezza addirittura la sua crescita: dal 4 al 2 per cento. E il mondo, nel suo complesso, scende dal 3,7 per cento di crescita del 2004 al 2,7 del 2005. E, ripeto, qui dentro non abbiamo le incognite di nuove azioni terroristiche come non abbiamo eventi catastrofici. Qui stiamo ragionando di normale evoluzione delle cose. E la semplice verità è che ci stiamo ripiegando, l’economia mondiale si sta richiudendo, mette il freno e passa alla marcia inferiore”.

Ma, tutto sommato, non va poi così male…

“Nel conto, ovviamente, non abbiamo messo la Cina, che di fatto sta dimezzando la sua velocità di crescita”.

Però non siamo in recessione…

“Ma ci sono in giro molti segnali preoccupanti. Vengono un po’ da tutte le parti, dall’America, dall’Europa e dall’Asia”.

Dagli Stati Uniti che cosa arriva?

“Il mistero di un’economia che finora è andata avanti grazie a operazioni molto spericolate e che si torva, secondo me, e anche secondo molti economisti di valore, in uno stato di instabilità grave”.

Cioè?

“Cerco di spiegarmi. Se noi guardiamo i dati del Pil e le relative previsioni, tutto sembra andare più o meno bene. Se invece andiamo un po’ più a fondo, allora vediamo emergere i guai. Di recente è stato calcolato l’andamento del debito aggregato americano (famiglie, imprese, Stato). Ebbene, siamo al 300 per cento del Pil. Si tratta del più alto valore dell’intera storia americana. All’inizio degli anni Trenta era arrivato a quota 270 per cento. All’inizio degli anni Novanta era un terzo in meno, a quota 200 per cento”.

E questo che cosa significa?

“Molte cose e quasi nessuna bella”.

Cioè?

“Intanto significa che, come peraltro si è già detto e scritto, dietro questo boom americano recente, c’è una montagna di debiti. Anzi, la più alta montagna di debiti della storia. E questo fa dell’economia americana (che è la più grande del mondo e quella da cui dipende tutto il resto) un soggetto molto instabile. Ma pone anche il problema di sistemare in qualche modo il debito. E la strada, qualunque cosa dicano le autorità americane, è una sola: far pagare il debito, il boom recente, agli altri, cioè al resto del mondo. La strategia economica americana, in questo momento, è appunto quella di esportare il loro debito attraverso il dollaro. Quelli che ci consigliano, quindi, di imitare l’America (fare debiti per crescere, per consumare di più) trascurano appunto questo piccolo particolare: gli americani possono farlo, con molti rischi, anche perché hanno il dollaro, uno strumento fantastico per esportare i debiti e farli pagare agli altri”.

E come si fa?

“E’ molto semplice: basta svalutare il dollaro. Questo rende un po’ più competitive le loro merci e quindi si migliora un po’ la situazione. Tutti hanno sempre detto che gli americani non potevano andare avanti con questo ritmo, e infatti stanno cercando di rallentare un po’. Per non cadere in recessione, svalutano il dollaro e cercano di aumentare le esportazioni, a danno ovviamente di tutti gli altri, che possono solo subire”.

Lei vede dei rischi in questa operazione?

“Vedo dei danni sicuri per noi. Ma c’è anche qualche rischio per loro. Nel senso che non è affatto detto che queste operazioni riescano. Ripeto: l’America (non Greenspan o Bush) non si è mai trovata nel corso della sua storia a dover fronteggiare un debito così ciclopico. Ci stiamo muovendo su un terreno ignoto, mai percorso da nessuna Amministrazione. A questo aggiunga che nel giro di pochi mesi l’America deve ridurre del 30 per cento la sua velocità di crescita. Sarebbe un’impresa difficile da fare con un’economia a posto. Con un’economia piena di debiti (e con le imprese che già denunciano di non aver più tanta voglia di investire) il rischio di qualche sbandata, il rischio di finire nel fosso, è purtroppo reale. E, se sbanda l’America, sono guai seri per tutti, sul serio…”.

Insomma, lei è preoccupato perché pensa che la locomotiva America possa sfuggire di mano…

“Esatto. Questo pericolo c’è. Ma poi sono preoccupato anche perchè nel mondo stanno avvenendo tante cose importanti, tanti cambiamenti di fronte ai quali servirebbe molta prudenza e invece vedo che la più grande economia del mondo li affronta con leggerezza, indebitandosi come mai nella sua storia”.

A che cosa si riferisce?

“Quando è mai successo che un’industria automobilistica giapponese abbia dovuto chiudere i battenti per vari giorni non per mancanza di domanda (che è normale) quanto per mancanza di acciaio?”.

E questo che cosa significa?

“Significa che solo adesso ci stiamo accorgendo che il boom cinese è qualcosa che sconvolge tutti i parametri economici internazionali. E’ un problema e andrebbe gestito meglio. Pochi forse sanno che ormai il consumo di petrolio della Cina ha superato quello del Giappone. E questo nonostante la Cina abbia auto-limitato la sua crescita, di fatto dimezzandola. In realtà, stiamo viaggiando con la locomotiva numero 1, l’America, che si trova in uno stato di instabilità (andrebbe messa in sicurezza, come le case lesionate) e con la locomotiva numero 2, la Cina, che è talmente grande che rischia di creare problemi ovunque”.

La svalutazione del dollaro non può essere una buona medicina per tutti?

“Assolutamente no. E’ solo un modo per ribaltare su altri un po’ dei debiti americani. Sull’Asia e sulla Cina, comunque, non avrà effetti perché quelle economie si muovono insieme al dollaro. La faccenda riguarda, e molto da vicino, purtroppo, noi europei”.

In che senso ci riguarda?

“Nel senso che alla fine quelli che pagheranno siamo noi”.

E come pagheremo?

“Abbiamo già cominciato. Grazie alla svalutazione del dollaro nel 2005 cresceremo meno del 2004, e penso che la cosa andrà avanti per parecchio tempo. Il boom americano, insomma, non nasce dalla genialità di Greenspan e di Bush, ma dal fatto che alla fine saremo noi a pagare. E questo spiega perché sono fuori dal mondo quelli che ci dicono di imitare gli Stati Uniti. A chi facciamo pagare i nostri debiti? All’America?”.

Quindi è un disastro, qui in Europa?

“Sì, an che perché le aziende, per resistere, stanno delocalizzando in Asia. Stanno fuggendo, chiudono gli impianti qui e vanno ovunque, ma fuori dall’Europa. D’altra parte, in quei paesi un lavoratore costa fra i 70 e i 100 dollari al mese. Poco più di mille dollari all’anno. Qui da noi, gira e rigira, siamo introno ai 25 mila dollari all’anno. Non c’è gara, purtroppo”.

E quindi che cosa accadrà dell’Europa?

“Continueremo a perdere industrie. Saremo un continente di cultura, servizi e turismo. Insomma, faremo i camerieri di americani e cinesi. Qui c’è un mercato interessante: dieci anni i cinesi in giro per il mondo a fare i turisti erano 3,7 milioni, quest’anno sono già 24 milioni e crescono continuamente”.

Fuori dallo scherzo…

“Guardi che non scherzo molto. L’industria tessile è già quasi tutta all’estero, credo che qui non si faccia più una sola mutanda o un solo paio di jeans. Molte aziende di scarpe si trovano nella stessa identica situazione Mentre noi parliamo e discutiamo, qui le aziende scappano…”

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