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(WSI) – Meno spesa corrente e meno rendite per raddrizzare il bilancio pubblico. La variabile chiave è il debito che deve scendere ben al di sotto del 100% entro il 2008. La missione è possibile con una cura che sostiene l’economia reale.
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La situazione della finanza pubblica può essere così riepilogata: la spesa corrente al netto degli interessi, il parametro che meglio degli altri misura la capacità di governo della spesa pubblica, continua a galleggiare sui massimi storici degli ultimi sessant’anni, attorno al 39,5% del Pil. Questo aggregato è cresciuto in cinque anni di circa due punti di Pil : apparentemente non si è saputo o non si è voluto governare la spesa pubblica, contribuendo così a ridurre la competitività del sistema Italia. La politica economica dovrebbe piegare questo aggregato, con una manovra aggiuntiva in corso d’anno e con la finanziaria 2006 (da fare anche insieme), riportandolo nel 2006 sotto il 39% del Pil, e, nell’arco di un triennio, al di sotto del 37% del Pil.
Ciò è possibile bloccando nel 2006 questo aggregato, in termini nominali, ai livelli del 2005: diciamo che esso passa da circa 530 miliardi di euro del 2004, a circa 550 del 2005, e lì dovrebbe rimanere bloccato per il 2006. Tenuto conto del blocco del turnover, che dovrebbe abbassare di almeno il 3% la spesa per il personale, e degli altri strumenti di blocco, l’operazione, se si vuole fare, è fattibile. A questo punto, andiamo a vedere la situazione dal lato del debito pubblico: il blocco della spesa corrente al netto degli interessi, permette realisticamente di porsi l’obiettivo di avere un debito “fine 2006” dalle parti del 104% del Pil, raggiungibile attraverso manovre di controllo della spesa corrente dell’ordine di 80 miliardi rispetto al tendenziale (di cui 30 nel 2005, raggiungibili solo con una manovra aggiuntiva né si vede in quale altro modo senza rinunciare alla cosiddetta operazione verità), con privatizzazioni nel periodo dell’ordine di 20 miliardi, ed un “roll over” al 2007 di circa 35 miliardi di debito, più o meno come sempre fatto ogni anno da circa 10 anni a questa parte.
Messa così, la situazione di finanza pubblica potrebbe essere gestita anche in modo accettabile, purchè si prosegua rapidamente con una discesa del debito pubblico ben sotto il 100% del Pil entro il 2008. Il messaggio ai mercati sarebbe chiaro, finalmente, e le aspettative degli operatori migliorerebbero. Gli errori di politica economica, derivanti dalla clamorosa sottovalutazione della “sindrome argentina”, avrebbero trovato un rimedio. Abbiamo più e più volte sostenuto, anche su questo giornale, che oggi abbiamo in Italia, ad organizzazione degli uffici rifatta e ad informatizzazione fatta (oggi è praticamente finta, come tutti sanno e fingono di non sapere), circa un milione e mezzo di dipendenti pubblici di troppo, circa 100 miliardi all’anno di spesa pubblica corrente di troppo, che pesano come un macigno sulla nostra capacità di competere. Su questo tema, tutti zitti.
Nessuno apparentemente vuole riflettere né vuole esporsi. La riduzione graduale, nell’arco di un quindicennio, di organici e spese (queste ultime soprattutto: consulenze, affitti, viaggi, autovetture “blu”, scuole di formazione “inutili”, giri di carte giustificati solo dalla presenza di uffici che cercano di legittimare la propria inutile presenza, e così via) è un dovere patriottico, se è consentito usare ancora questo linguaggio, raggiungibile senza licenziare nessuno, utilizzando il turnover (al cento per cento o meno). Ma nessuno sembra interessato ad occuparsene, se non a parole. Può sorgere qualche legittimo dubbio che si possa fare, quello che è necessario fare, quando l’esempio non viene dall’alto (Istituzioni e loro responsabili e loro gestori), ma questo non può essere una giustificazione per togliere significato alle proposte qui avanzate.
Per raggiungere gradualmente nel tempo questo obbiettivo, che risolverebbe strutturalmente i nostri problemi di finanza pubblica, riteniamo possano essere prese in considerazione le seguenti proposte.
Occorre considerare in primo luogo il rispetto dei parametri di Maastricht come una conseguenza del quadro di politica economica adottato e realizzato, e non come l’obbiettivo da raggiungere con trucchetti contabili, e porre il fabbisogno di cassa, ed il conseguente livello dello stock di debito pubblico come i parametri obbiettivo strategici dell’azione di governo, superando una volta per tutte il dualismo “misterioso” tra fabbisogno ed indebitamento netto. Occorre in secondo luogo unificare finalmente il quadro contabile pubblico: il budget poliennale di cassa deve divenire il documento che unifica in sé sia la programmazione della spesa e degli incassi, che la loro legittimità contabile, nell’ipotesi che lo stock di debiti e crediti correnti rimanga costante nel tempo. Questa deve essere la ratio della nuova legge finanziaria, come da un disegno di legge già depositato in Parlamento. Abolire in questo quadro la “furba” distinzione tra le categorie di entrate correnti, ed in particolare la cosiddetta “pressione fiscale”, espressione ormai vuota di significato, ma piena di humor, dati tutti i balzelli che a vario titolo i cittadini pagano in aggiunta alle cosiddette tasse.
Accellerare in terzo luogo l’entrata in servizio obbligatoria per tutti della contabilità di cassa basata su Siope (RGS+BdI), con tutti gli sviluppi conseguenti. In merito a quest’ultima proposta, tutti sanno le difficoltà cosiddette “culturali” da superare, ma i vantaggi che nascono da una operazione di trasparenza contabile, sia al centro che in periferia, sarebbero molto significativi. Qui alcune cose vanno dette. Non è stato ancora inventato alcun strumento diverso dal budget di cassa per gestire la complessità di organizzazioni vaste e decentrate come tutta la Pubblica Amministrazione, e Siope ne è lo strumento attuativo, l’unico di cui ora possiamo disporre. Non vi sono alternative.
Sono obiezioni deboli o comiche quelle di coloro che sostengono che occorra evitare la costruzione del “grande fratello”, con ovvio riferimento al romanzo di Orwell e non a programmi di reality show. E’ vero esattamente il contrario. La trasparenza contabile non è da considerare solo un valore etico (stiamo parlando dei sudatissimi soldi dei cittadini italiani), ma è un’ineludibile esigenza di efficienza gestionale E’ invece la situazione attuale che toglie libertà ad ognuno (il vero “grande fratello”), situazione ove i dati contabili pubblici sono o ignoti (perché nessuno li conosce) o misteriosi, perché ognuno ha dati diversi da quelli che altri hanno, e nessuno ha dati contabili consolidati. È inaccettabile che, avendo uno strumento di contabilità consolidata on line vera, molti anche troppi siano alla ricerca di scuse per non attuarlo, continuando nella attuale situazione in cui non si sa di fatto dove vanno e da dove vengono i soldi pubblici, non si sa chi li prende e chi li paga. Questo è il “grande casino”, altro che “grande fratello” !
La politica sinora seguita dei tagli generalizzati uguali in percentuale per tutti è solo politica di emergenza, ma sbagliata poiché non dà incentivi a spendere bene, e continua ad incentivare la spesa di bassa qualità “perché se non spendo subito i soldi, poi l’anno venturo me li tolgono”. Questa politica produce effetti opposti a quelli desiderati e auspicabili.
La quarta proposta attiene alla competitività della nostra economia, che non nasce da aiuti pubblici, ma nasce da tagli di rendite. E’ problema di finanza pubblica perché rallenta la crescita, complicando tutto. Credo sia ormai assodato che gli aiuti pubblici a pioggia, come l’esperienza del Mezzogiorno e della Germania dell’Est dimostra, non siano la soluzione, o meglio, siano divenuti ormai il problema.
La soluzione consiste nella liberalizzazione dell’economia, con il taglio: della rendita immobiliare che nasce solo da blocchi all’offerta, della rendita assicurata sempre da restrizioni dell’offerta nel commercio e nei servizi, nelle rendite garantite da tariffe minime fissate per legge, nella restrizione della concorrenza in vari settori, nella mancanza di una politica vera di riduzione dell’inflazione, che può nascere solo dalla liberalizzazione dell’offerta. Dal 1999 ad oggi, ossia dall’avvio della moneta unica, Germania e Francia (non Cina oppure altri paesi asiatici) hanno migliorato la loro competitività rispetto all’Italia di circa il 20%: è questo il risultato della politica sostanzialmente corporativa che in Italia si è fatta da troppi anni e si continua a fare. È qui soprattutto la radice del problema competitività.
Quanto all’ultima proposta, essa attiene alle regole contabili di scrittura del budget di cassa poliennale di ogni amministrazione. Con l’introduzione di tecniche di “zero budgeting” autentico, assunto a base del budget di cassa l’anno solare in corso, le decisioni di spesa possono tradursi in un pagamento o in un incasso effettuato nell’anno di riferimento, oppure in un debito o in un credito da regolare in un anno successivo. L’ipotesi base è che gli stock di debiti e di crediti non finanziari rimangano obbligatoriamente costanti nel tempo: vi saranno strumenti di cartolarizzazione obbligatoria che porteranno la gestione dei debiti e dei crediti oltre i dodici mesi ad essere gestiti da strutture chiamate contrattualmente a pagare oppure a incassare rispettivamente i debiti oppure i crediti “maturi”, con pari decurtazione o incremento dei trasferimenti per l’ente “cartolarizzato”. Lo “zero budgeting” parte da quanto precede.
Prosegue con la costruzione del budget che deve riconsiderare tutte le spese o gli incassi effettuati nel periodo precedente, portando ad un miglioramento obbligatorio di efficienza gestionale: ogni anno si deve migliorare, spendendo di meno e producendo di più. Ogni autorizzazione di spesa (cassa) deve perdere efficacia al termine dell’anno solare di riferimento. I miglioramenti ottenuti nella gestione nell’anno di riferimento, sono premessa per ottenere nuovi trasferimenti per investimenti. Si deve costruire uno strumento che premi la riduzione di spese correnti (cassa) attraverso nuovo danaro per investimenti.Ultima considerazione: come si può continuare a filosofare sulla finanza pubblica, se la “macchina” non funziona perché continua ad ignorare le regole elementari di buona gestione, inventate qui, in questo paese, circa mille anni fa? Come è possibile fare politica economica con aspettative di crescita in questa situazione?
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