Roma – Posti bruciati, allarme sociale, rischio di un autunno caldo senza vere prospettive che in inverno la temperatura possa calare, sebbene la riforma Fornero dia a Bruxelles qualche speranza per il futuro. I numeri e i giudizi che la Commissione europea offre col suo rapporto trimestrale su “La situazione sociale ed occupazioni nell’Ue” (pubblicato oggi) decretano che, dalle nostre parti, il lavoro motore dell’economia si è bruscamente inceppato.
E non è solo il tasso di disoccupazione che è volato oltre il 10 per cento, il che è già un male di per se stesso. C’è anche uno sfilacciamento della aspettative che ha fatto precipitare il Bel Paese dall’13° al 23° posto quanto a “Indice sociale globale”, il numero che misura la fiducia e le attese della popolazione attiva. “Alcuni paesi dell’Europa meridionale che stanno vivendo in contesti di significative difficoltà economiche manifestano un declino dell’’Indice sociale, in particolare l’Italia, che ha avuto la caduta più grande, passando dal -1,1 del 2011 a meno 3,1 del 2012”.
Succede ovunque, ma da noi la tendenza è più secca, sebbene la Commissione esprima apprezzamento per gli scenari aperti dalla Riforma Fornero che, “facilitando i licenziamenti, aiuterà le assunzioni a tempo indeterminato”. Scrivono i servizi del commissario Ue per il Welfare, László Andor, che “in un contesto di divergenza persistente fra i 27 mercati del lavoro e una forte tendenza verso la polarizzazione, i rischi sociali stanno crescendo”. Nel secondo trimestre 2012 l’occupazione continentale è rimasta stabile dopo tre trimestri consecutivi di declino. Nel complesso, però, il numero delle persone con un lavoro nell’Ue è calato su base annua dello 0,2 per cento (dato annuo a fine giugno 2012) e dello 0,6 nell’Eurozona. Entrambi i dati segnano una discesa in linea con la ritirata del pil, dunque con la frenata della crescita.
Nel complesso, afferma Andor, le prospettive di trovare un lavoro “rimangono scarse”. Il ciclo economico è imbrigliato da un calo della domanda che le esportazioni compensano solo parzialmente.
Le incognite sono evidenti. La Commissione punta il dito sulla “povertà dei minori” che in Europa si diffonde rapidamente anche per colpa dei tagli di bilancio che riducono il sostegno pubblico alle famiglie. E’ un dato che contribuisce a gonfiare la bolla negativa. In luglio erano 25,3 milioni i disoccupati in Europa (10,4 per cento della forza lavoro). Nei sedici mesi precedenti l’esercito a caccia di stipendio si è gonfiato di 2,6 milioni di teste. Il mercato è frammentato. Il differenziale fra il paese con meno gente a casa (Austria) e quello che ne ha di più (Spagna) è di 20,6 punti percentuali. La disoccupazione a lungo termine ha raggiunto quota 10,7 milioni nel 2012, il 4,5 per cento di chi potrebbe lavora. E’ un dato che Bruxelles ritiene destinato a crescer ancora.
Drammatica soprattutto la situazione dei giovani, uno su quattro cerca qualcosa da fare senza trovarla. La domanda di lavoro è fiacca se non per il part time, strumento abusato che finisce per fomentare l’incertezza. La produttività del lavoro è calata nel secondo trimestre dell’anno, mentre il costo del lavoro ha avuto andamenti divergenti a seconda delle economie. I nuovi posti continuano ad essere in numero inferiore rispetto a quelli che si perdono. E’ la crisi. Economica e di sistema. Oltretutto, nello scrivere i trattati europei le capitali hanno tenuto per sé le competenze su Welfare e Lavoro. L’Ue può dunque rendere più fluido il mercato interno, ma non ha voce in capito sulle politiche. Sono decisioni nazionali e basta.
L’Italia non gira. Il quadro – ante riforma Fornero nel rapporto della Commissione – è inquietante. Siamo il paese con il più alto numero di persone senza lavoro che hanno smesso di cercarlo (11 per cento dei disoccupati), stacchiamo la Bulgaria che è seconda (8,6%). Un altro record è quello del calo della produttività del lavoro, meno 2,1% annuo a fine secondo trimestre. Insieme con Malta siamo il solo paese ad aver conseguito quattro cali consecutivi. In parallelo, il costo unitario del lavoro è aumentata dell’0,1 per cento nel primo trimestre e del 2,3 per cento nel secondo.
Sorprendente il dato delle ore lavorate. Davvero. Gli uomini di Andor rivelano che i Greci e gli austriaci sono quelli con gli occupati a tempo indeterminato che lavorano di più, 42 ore la settimana in media. Italia e Irlanda sono i meno attivi, con 39,4 ore. Strana classifica.
L’Italia è anche il sistema che, per il periodo giugno-agosto, ha annunciato il numero più alto di posti persi: 33.802. E allo stesso tempo, sempre considerando il secondo trimestre, siamo (con l’Estonia), il sistema industriale che ha visto scendere di più la produzione (- 7,3 per cento annuo). Risultato? Scrive la Commissione: “L’Italia resta l’economia meno performante fra le grandi Quattro dell’Ue, con il tredicesimo calo consecutive in agosto della produzione pro capite”. Un disastro. O quasi.
E adesso? La Commissione registra che “il 27 giugno il parlamento ha approvato il pacchetto di riforma del mercato del lavoro prospettato dal governo Monti.”. Dice che l’intervento, “basato sul principio della flexicurity, è disegnato per ripristinare la crescita in una congiuntura stagnante. Sarà d’ora in poi più facile per le società tagliare l’occupazione, il che dovrebbe rincoraggiare ad assunzione a tempo indeterminato più che con contratti temporanei”. E’ forse l’unico messaggio di speranza concreto che offre Bruxelles per l’immediato. Anche se, come dimostrano i dati delle ultime ore, la riforma richiederà qualche tempo per dare i suoi frutti.
Copyright © La Stampa. All rights reserved