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Italia: interventi Bce? Non saranno sufficienti

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Il contenuto di questo articolo – pubblicato da Corriere della Sera – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

La crescita sta di nuovo rallentando un po’ dovunque. Negli Stati Uniti dal 3,8% del 2010, al 2,3 del 2011, all’1,5 nel secondo trimestre di quest’anno. Anche Cina e Brasile frenano, seppur continuino a crescere a tassi elevati. I dati europei saranno pubblicati la prossima settimana: nonostante le grandi differenze fra il Nord e il Sud dell’Europa, temiamo saranno deludenti.

Le ultime previsioni per l’Italia indicano che quest’anno perderemo oltre due punti di reddito. Compito delle banche centrali è attenuare queste fluttuazioni. Lo possono fare riducendo i tassi di interesse ai quali prestano denaro alle banche. Quando i tassi, come accade oggi, sono vicini a zero, possono cercare altri modi per far affluire credito alle imprese: ad esempio finanziandole direttamente senza l’intermediazione del sistema bancario, oppure facendo pagare un costo alle banche se esse decidono di depositare la loro liquidità presso la banca centrale anziché usarla per dare credito a famiglie e imprese.

La Federal Reserve annuncerà qualcosa di simile oggi e probabilmente l’istituzione di Francoforte la seguirà. Ma il compito delle banche centrali si ferma qui. Sarebbe un errore se esse si sostituissero ai governi acquistando titoli pubblici per motivi di bilancio. Politica di bilancio e politica monetaria devono restare separate.

I nostri spread sono tanto elevati perché gli investitori internazionali che acquistano titoli pubblici italiani sono preoccupati. Pensano che il nostro modello sociale non sia più sostenibile perché richiede una pressione fiscale che è diventata incompatibile con la crescita. Se questo è il dubbio, qualche acquisto da parte della Bce non basta a risolverlo.

Una via d’uscita vi sarebbe: riacquistarci tutto il debito. In teoria l’Italia potrebbe farlo perché ha ricchezza privata in abbondanza, la Spagna no. In parte sta già accadendo: in pochi mesi la quota di debito italiano detenuta da investitori internazionali è scesa dal 60 a meno del 37%.

Potremmo addirittura obbligare famiglie e banche a vendere titoli esteri e acquistare Btp a tassi regolamentati, come accadeva negli anni Settanta. A quel punto diventeremmo come il Giappone: un Paese con un debito quasi il doppio del nostro, tutto detenuto all’interno e a tassi molto bassi. Ma anche un Paese che da vent’anni ha smesso di crescere. Non certo un esempio da seguire.

Il presidente della Bce non ha certo scordato la lezione dell’agosto scorso, quando l’Istituto iniziò ad acquistare Btp: lo spread crollò e i buoni propositi che Berlusconi aveva annunciato l’8 agosto, dopo la lettera di Draghi e Trichet, svanirono al sole. Purtroppo accadde qualcosa di simile anche la scorsa primavera, quando la Bce inondò le banche di liquidità e queste la usarono per acquistare titoli pubblici.

Come raccontava in modo efficace Sergio Rizzo domenica su queste colonne, spread e riforme sono come la fatica di Sisifo: non appena lo spread flette, le riforme rallentano.

È probabile che ormai l’unico modo per salvare l’euro sia consentire alla Bce di acquistare. Ma la lezione dell’agosto scorso è che questi acquisti non potranno essere senza condizioni, o basati su semplici dichiarazioni di intenti. Per ottenere l’aiuto della Bce si rischia di dover accettare, e sarebbe una sconfitta, una limitazione della propria autonomia di bilancio. L’alternativa è riuscirci da soli: non è impossibile. Possiamo ancora farcela. Ma richiede una determinazione che, anche in questi ultimi mesi di legislatura, il Parlamento e le forze politiche devono dimostrare di possedere.

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