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ITALIA: “ALLARME ROSSO” CONTI PUBBLICI, DEFICIT-PIL RADDOPPIA AL 5,3%

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Nel 2009 il rapporto deficit-Pil schizza al 5,3% (era al 2,7% nel 2008). In valore assoluto l’indebitamento netto è aumentato di circa 38.200 milioni di euro, attestandosi sul livello di 80.800 milioni di euro.

Lo comunica l’Istat spiegando che nel 2009, per la prima volta dal 1991, il saldo primario (indebitamento netto al netto della spesa per interessi) è risultato negativo: pari allo 0,6% del Pil, inferiore di oltre 3 punti rispetto al livello positivo raggiunti nel 2008 (2,5%).

La pressione fiscale complessiva nel 2009 è risultata pari al 43,2%, superiore di 3 decimi di punto rispetto al valore 2008 (42,9%). La pressione e’ il frutto di ammontare delle imposte dirette, indirette, in conto capitale e dei contributi sociali in rapporto al Pil. Il dato e’ contenuto nel ‘Conti economici nazionali’ diffusi dall’Istat. Lo scudo fiscale ha consentito di incassare gia’ nel 2009 circa 5 miliardi di euro come imposte in conto capitale.

Continuando, l’istituto ha affermato che nel 2009 il rapporto debito/Pil è salito al 115,8%. Il valore assoluto del debito nel 2009, reso già noto dalla Banca d’Italia, è pari a 1.761.191. milioni di euro.

L’Istat ha poi comunicato che nel 2009 il valore del Pil ai prezzi di mercato è stato pari a 1.520.870 milioni di euro correnti, con una diminuzione del 3,0 per cento rispetto al 2008. Il Pil del 2009, espresso ai prezzi dell’anno precedente, è diminuito dunque del 5,0 per cento e la flessione è la peggiore dal 1971.

I dati finora disponibili per gli altri paesi indicano invece per il Pil una diminuzione in volume del 2,2 per cento in Francia, del 2,4 per cento negli Stati Uniti e del 5,0 per cento in Germania, Regno Unito e Giappone.

In Italia, la diminuzione del Pil, accompagnata da un calo del 14,5 per cento delle importazioni di beni e servizi, ha determinato una riduzione delle risorse disponibili pari al 7,2 per cento.

Dal lato degli impieghi si evidenzia una contrazione in termini reali dell’1,2 per cento dei consumi finali nazionali (meno 1,8 per cento per la spesa delle famiglie residenti, più 0,6 per cento per la spesa delle Amministrazioni pubbliche, più 1,1 per cento per le Istituzioni sociali private – Isp). La flessione dei consumi privati interni è stata pari all’1,9 per cento.

Gli acquisti all’estero dei residenti sono diminuiti del 3,9 per cento, mentre le spese sul territorio italiano effettuate da non residenti sono diminuite del 7,4 per cento.

Gli investimenti fissi lordi hanno mostrato una contrazione del 12,1 per cento, la quale è il risultato di flessioni che hanno riguardato tutte le tipologie di beni capitali: i macchinari e attrezzature (meno 18,4 per cento), le costruzioni (meno 7,9 per cento), i mezzi di trasporto (meno 15,2 per cento) e i beni immateriali (meno 5,4 per cento).

Le esportazioni di beni e servizi hanno registrato una diminuzione del 19,1 per cento. Il deflatore del Pil ha registrato nel 2009 un aumento del 2,1 per cento, cui ha fatto riscontro una flessione dello 0,2 per cento del deflatore della spesa delle famiglie residenti. Il deflatore dei consumi interni è diminuito dello 0,1 per cento, quello dei consumi delle Amministrazioni pubbliche (AP) è aumentato del 2,7 per cento, quello dei consumi delle Isp dell’1,5 per cento e quello degli investimenti fissi lordi dello 0,8 per cento.

La ragione di scambio con l’estero ha registrato un miglioramento rispetto all’anno precedente: alla diminuzione del 6,1 per cento dei prezzi all’importazione di beni e servizi ha fatto riscontro una diminuzione molto contenuta (meno 0,4 per cento) dei prezzi all’esportazione.

Dal punto di vista della formazione del prodotto, il valore aggiunto è diminuito, ancorché a tassi differenziati, in tutti i settori dell’economia: agricoltura, silvicoltura e pesca (meno 3,1 per cento), industria in senso stretto (meno 15,1 per cento), costruzioni (meno 6,7 per cento) e servizi (meno 2,6 per cento). Un contributo negativo alla variazione del Pil è venuto dalla domanda nazionale al netto della variazione delle scorte (meno 3,5 punti percentuali) e dalla domanda estera netta (meno 1,2 punti percentuali). Le unità di lavoro (ULA2) hanno registrato un calo significativo, pari a 2,6 per cento.

Tale fenomeno è riconducibile, in primo luogo, alla riduzione del numero degli occupati (meno 1,7 per cento), sia residenti sia lavoratori stranieri irregolari non residenti3. Inoltre, il volume di lavoro impiegato si è ridotto anche a causa del maggior ricorso da parte delle imprese alla cassa integrazione guadagni, sia ordinaria sia straordinaria, della riduzione delle seconde attività lavorative e della contrazione del lavoro atipico.

La diminuzione delle unità di lavoro ha investito tutti i settori di attività economica, in particolare il settore dell’industria in senso stretto (meno 8,1 per cento), e ha interessato sia l’occupazione dipendente (meno 2,7 per cento) sia quella indipendente (meno 2,6 per cento). I redditi da lavoro dipendente e le retribuzioni lorde sono diminuiti nell’intera economia dello 0,6 per cento. Queste ultime hanno registrato un aumento dell’1,7 per cento nel settore agricolo, dell’1,2 per cento nelle costruzioni, dello 0,9 per cento nei servizi e una riduzione del 5,7 nell’industria in senso stretto.

Ancora, la pressione fiscale è cresciuta nel 2009. Lo scorso anno la pressione fiscale complessiva (ammontare delle imposte dirette, indirette, in conto capitale e dei contributi sociali in rapporto al Pil) è risultata infatti pari al 43,2% superiore di tre decimi di punto rispetto al valore del 2008 (42,9 per cento).

Tale risultato – spiega l’Istat – è l’effetto di una riduzione del Pil superiore a quella complessivamente registrata dal gettito fiscale e parafiscale, la cui dinamica negativa (meno 2,3 per cento) è stata attenuata da quella, in forte aumento, delle imposte in conto capitale (cresciute in valore assoluto di quasi 12 miliardi di euro).

Le imposte dirette sono diminuite del 7,1 per cento, quelle indirette del 4,2 e i contributi sociali effettivi dello 0,5 per cento. L’andamento di questi ultimi riflette la tenuta delle retribuzioni lorde, dovuta alla lieve crescita dell’importo medio pro-capite, che ha parzialmente compensato la flessione dell’occupazione.