(Teleborsa) – Annus horribilis il 2009 per il traffico aereo presso gli scali nazionali. Gli aeromobili arrivati e partiti sono diminuiti rispetto all’anno precedente del 4,8 per cento, i passeggeri del 2,4 per cento e le merci e posta trasportate del 13,5 per cento. Secondo l’indagine svolta dall’Istat, la diminuzione dei passeggeri è dovuta alla riduzione del traffico internazionale mentre il traffico nazionale è aumentato leggermente. Per entrambe le tipologie di traffico, risulta rilevante la riduzione dell’utilizzo dei voli charter. Risentendo direttamente degli effetti della crisi economica nazionale e internazionale, il traffico aereo ha segnato nell’arco del biennio una contrazione di ampie dimensioni: il numero di movimenti di aeromobili è sceso del 10,1 per cento, quello di passeggeri del 5,3 per cento e quello delle merci e posta del 23,8 per cento. Il marcato calo del movimento dei passeggeri e delle merci trasportate è iniziato nel 2008 ed è proseguito nel 2009. Questa caduta ha invertito la tendenza all’espansione che aveva caratterizzato i cinque anni precedenti, con una netta accelerazione nel biennio 2006-2007. La riduzione complessiva del numero di passeggeri, in arrivo e in partenza, registrata nella media del 2009, rispetto all’anno precedente, ha toccato tutti i principali nodi aeroportuali. Nel 2009 il complesso delle compagnie aeree commerciali, italiane e straniere, ha perso, rispetto al 2008, poco più di 8 milioni di passeggeri, mentre le compagnie low cost hanno incrementato il proprio traffico di circa 4,8 milioni di unità. A livello europeo, nel 2009 il complesso dei passeggeri trasportati è diminuito del 6,2 per cento rispetto al 2008, passando da 1.181 a 1.107 milioni. I paesi che presentano il maggiore traffico sono Regno Unito, Germania, Spagna e Francia. L’Italia si colloca al quinto posto, con circa 103,6 milioni di passeggeri (circa meno 3 milioni). Sia nel 2008, sia nel 2009, i primi cinque paesi rappresentano circa il 66 per cento dell’intero mercato europeo, con quote che vanno dal 18 per cento del Regno Unito al 9,4 per cento dell’Italia.
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