Società

INVESTIRE
IN BIOTECH
A WALL STREET

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*MariaGrazia Briganti è Redattrice di Morningstar in Italia. Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Risanate le ferite del post-bolla, il comparto delle biotecnologie chiuderà l’anno in crescita. Per Carter Neild, gestore del fondo Eaton Vance Worldwide Health Sciences, le società hanno raggiunto interessanti livelli di redditività e di capitalizzazione. Nel 2006 le opportunità non mancheranno, soprattutto negli Usa e in India.

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Il comparto medico/farmaceutico ha corso molto dallo scorso gennaio. Il trend è finito, oppure vi sono ancora buone prospettive nel prossimo anno?

L’andamento positivo continuerà anche nel 2006, ma il focus sarà più sulle società impegnate nel comparto delle biotecnologie. Il settore ha raggiunto una certa profittabilità, 63 società hanno raggiunto un buon livello di profitti a partire dal 2004 e secondo le nostre previsioni altre 26 società supereranno i problemi degli ultimi mesi raggiungendo la redditività nel 2007.

I dati di bilancio confermano che si tratta di società solide e per alcune siamo lontani dai valori raggiunti nel periodo della bolla del 2000. In particolare, mentre la capitalizzazione dei grandi colossi farmaceutici, dal 2000 ad oggi, è vistosamente calata – Merck è passata da 146,5 miliardi di dollari ai 59,3 dello scorso mese, mentre Pfizer ha una capitalizzazione di 156 miliardi contro i 252 di cinque anni fa – l’industria biotecnologica ha accelerato. Amgen capitalizza 93,8 miliardi di dollari, mentre Genentech addirittura 94 miliardi di dollari, contro gli appena 29 miliardi del 2000.

Cosa ha dato impulso al mercato nel corso del 2005 da giustificare questa accelerazione?

I numerosi processi di acquisizione e fusione sono stati un catalizzatore per il comparto. Le società biotech costituiscono una preda allettante per i big farmaceutici e la crescita in Borsa all’indomani dell’annuncio di una possibile acquisizione è stata a due cifre. Basti pensare che Vicuron, dopo l’annuncio dell’interesse da parte di Pfizer ha trattato in Borsa con un premio dell’84%. Si tratta dell’operazione più importante del mercato, con un controvalore pari a 1.900 milioni di dollari.

Stati Uniti o Europa? Dove vedete al momento le migliori opportunità di investimento?

Siamo stati sovvrappesati sull’Europa fino a qualche mese fa. Oggi riteniamo che le società americane siano più interessanti. D’altro canto, il mercato statunitense è il più grande: su 600 società che compongono il nostro universo di investimento, 400 sono basate negli Stati Uniti, mentre 200 sono localizzate altrove. Attualmente siamo investiti al 70% negli Usa, al 15% in Europa, e il 10% è posizionato in Oriente, in particolare India. Il 5% del portafoglio è in cash, perché la liquidità è necessaria per poter cogliere delle opportunità non appena queste si presentano.

Come sono le società indiane?

Hanno ottime potenzialità. Per anni hanno copiato i grandi brevetti, ma con l’affermazione dei farmaci generici hanno ricevuto un forte impulso in termini di crescita. Nel futuro diventeranno player sempre più importanti e in grado di affermarsi con un proprio marchio.

Quali sono i rischi che potrebbero deprimere il mercato e quindi causare problemi a chi desidera entrarvi adesso?

I rischi maggiori sono di natura politica. Poiché gran parte delle società ha sede negli Usa ed è soggetta al controllo della Food and Drugs Administration, il mercato potrebbe risentire di una stretta nelle autorizzazioni o un taglio alla spesa sanitaria da parte del Governo.

Ricordiamo che le aziende negli Usa beneficiano di un sistema di mercato libero e con scarsi controlli sui prezzi, per cui, qualsiasi cambiamento in questo senso potrebbe incidere sui margini delle aziende.

Noi effettuiamo un continuo monitoraggio del rischio e cerchiamo di mantenere una buona diversificazione all’interno del portafoglio, non soltanto in termini di allocazione geografica, ma anche in termini di capitalizzazione, tenendo uno zoccolo del 25% sulle grandi società farmaceutiche, meno sensibili alle variazioni dell’ambiente circostante, ma anche meno profittevoli.

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