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(WSI) – Tenendo presente il fatto che il 50% circa del debito americano detenuto fuori dagli Usa è nelle mani di investitori cinesi e giapponesi, mentre la parte restante è divisa sul resto del mondo, è evidente che l’andamento del cambio euro/dollaro preoccupa solo marginalmente l’amministrazione Bush, che anzi vede di buon occhio il vantaggio competitivo delle esportazioni americane verso l’Europa derivante dal deprezzamento della moneta.
La situazione potrebbe cambiare se a deprezzarsi in modo significativo fosse il dollaro nei confronti dello yen, evento questo che potrebbe rendere sempre più diffidenti i possessori asiatici di bond a stelle e strisce. Se il cambio dollaro/yen dovesse iniziare a deprezzarsi troppo rapidamente la Fed si vedrebbe costretta a remunerare in modo più alettante il proprio debito, mettendo pressione sui tassi di interesse e di fatto vanificando, almeno in parte, gli effetti positivi sul fronte commerciale di una moneta relativamente debole.
Il cambio dollaro yen con i minimi del 3 e 6 dicembre in area 101.80/90 ha avvicinato pericolosamente i minimi del dicembre ’99 a 101.30, quota critica che praticamente coincide con i 2/3 di ritracciamento del rialzo dai record negativi del 1995. La violazione di questo supporto potrebbe provocare una nuova accelerazione ribassista, con obiettivi in quel caso inizialmente in area 94, ma successivamente estesi fino agli 85 punti. Se c’è un livello che le banche centrali cercheranno di difendere nel prossimo futuro questo potrebbe essere quindi area 100 sul cambio dollaro yen, e non tanto area 1.35, recenti massimi del cambio euro dollaro.
Quali ripercussioni potrebbe avere la violazione della soglia dei 100 punti nei confronti dello yen da parte del biglietto verde in termini di listini azionari? Se si considera l’andamento degli ultimi anni, a partire dai minimi del ’98, è possibile ipotizzare che la borsa non dovrebbe risentire in modo grave di una discesa del rapporto dollaro yen, cosa che potrebbe invece toccare molto più da vicino i mercati obbligazionari. Il rialzo di borsa del periodo ’98/2000 infatti si è disegnato in corrispondenza di un dollaro yen in netto calo, dai 145 ai 100 punti circa, mentre la fase ribassista vissuta dai listini fino al 2002 è stata concomitante con una rivalutazione del dollaro, tornato contro yen fino a quota 133 circa.
Inutile dilungarsi poi sulla storia più recente: dai minimi dell’ottobre 2002, con lo S&P500 a quota 768, ai recenti massimi di area 1200, il rialzo si è sviluppato in parallelo con un costante deprezzamento del dollaro. E’ quindi lecito immaginare che una rottura del supporto di 100 yen potrebbe essere accompagnato da una nuova impennata dello S&P americano. Al tempo stesso c’è il rischio che se la difesa di questa quota avesse successo, così come era accaduto ad esempio a fine marzo 2004, la borsa potrebbe andare incontro ad una fase di stallo o addirittura di inversione.
Come dovrebbe comportarsi quindi l’investitore? Da un lato sembra che debba tifare per un dollaro debole, condizione che negli ultimi anni ha favorito la ripresa dei listini, ma al tempo stesso, se decide di diversificare il proprio portafoglio indirizzandosi verso gli Usa, nella speranza che ad un tasso di crescita del Pil previsto per il 2005 circa il doppio di quello europeo corrisponda una sovra performance di quei listini, rischia di perdere parte dei proprio guadagni a causa del movimento del cambio. Il piccolo investitore che non può coprirsi dal rischio di cambio con operazioni a termine dovrà quindi affidarsi a quei fondi che operano per lui questa strategia. Con la soddisfazione, se le cose andranno come previsto, di poter archiviare anche il 2005, così come sembra avviarsi alla chiusura il 2004, come una buona annata per il proprio portafoglio azionario.
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