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Invesco, un unico equipaggio con Oppenheimer: “Oggi ancora più solidi”

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Siamo diventati il 13° asset manager più grande al mondo“. Parola di Giuliano D’Acunti, direttore commerciale di Invesco, durante la tavola rotonda organizzata al Museo Poldi Pezzoli di Milano.  L’evento, organizzato a un anno dall’acquisizione di OppenheimerFunds (società basata a New York con 230 miliardi di asset under management) e chiamato “Un unico equipaggio”  è stata l’occasione per ampliare la gamma di prodotti offerti e delle strategie.

“Il messaggio vuole essere chiaro: rendere ancora più salda, forte, chiara e importante la partnership di Invesco con i nostri clienti – prosegue D’Acunti – mettendo a loro disposizione tutti gli strumenti possibili e immaginabili, e creando la migliore esperienza per i nostri partners”.

Ci sono tre domande a cui rispondere nelle proprie scelte d’investimento“, sostiene Randy Dishmon, gestore del Global focus equity fund. “Quali sono le aziende che vale la pena possedere, a che prezzo bisogna pagarle e se il team di gestione lavora realmente per gli azionisti. Le aziende che guadagnano più del costo del capitale, hanno una marginalità del 25% e si quotano a Wall Street per ottenere maggiore liquidità”.
Una piccola critica sul fronte ESG: “Chiunque sia bravo a investire del denaro incorpora questi criteri nel proprio processo, ma bisogna assicurarsi che l’azienda faccia la cosa giusta per i propri azionisti. Non mi piace come l’industria sta approcciando l’Esg, attraverso punteggi non quantificabili. Si dovrebbe vedere come funzionano realmente”.

Parola anche a Wim Vandenhoeck, gestore dei fondi Oppenheimer emerging markets local debt & international bond strategies di Invesco. “Noi costruiamo portafogli tra il 6 e il 10% di volatilità – spiega – utilizziamo meno volatilità e gestiamo dei portafogli meno rischiosi rispetto al benchmark”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Nikki Noriega, client portfolio manager for the emerging markets equity team: “Non seguiamo il benchmark, la crescita del pil, le valute, ma investire nel lungo termine, dai tre ai cinque anni. Quello a cui pensiamo è la sostenibilità, ovvero aziende che hanno un vantaggio competitivo e possono continuare ad andare bene per 5-10 anni o anche di più”.