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INTERESSI A QUOTA DUE

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La Banca centrale europea ha ridotto di mezzo punto il suo tasso di interesse, portandolo al 2 per cento. Un taglio previsto e atteso dai mercati finanziari. Alcuni operatori, per la verità, temevano che Wim Duisenberg, con la sua tenacia di mastino monetarista, volesse limitarsi a una sforbiciata di solo un quarto di punto. Non è stato così ed è andata bene.

Ma non vi è ragione per ritenersi soddisfatti. La decisione presa non ha nulla di coraggioso: era oramai dovuta. L’apprezzamento dell’euro contro il dollaro rappresenta un’anomalia. La politica accomodante americana ne è la causa principale. Ma anche la ritrosia europea ad allargare i cordoni della Borsa ha il suo peso nella forza dell’euro.

Il ritardo dei banchieri centrali europei ad abbassare il tasso di interesse nasceva dal timore di riaccendere tensioni sui prezzi: insomma una paura matta di inflazione. Si tratta di una fobia infondata. Semmai oggi si parla di deflazione: una malattia altrettanto grave che porta alla riduzione dei prezzi.

Inoltre non si è tenuto conto del fatto che la politica monetaria esplica i propri effetti con un ritardo di almeno un semestre. La Bce, consapevole di questo fatto, non avrebbe dovuto aspettare che l’economia europea fosse in deflazione, per intervenire. Il tumore della deflazione si può curare facilmente, con un taglio dei tassi, quando è allo stadio precoce.
E’ molto più difficile agire quando si è già sviluppata la spirale dello sgonfiamento dell’economia.

La situazione è analoga, anche se invertita, quando vi è il pericolo di una bolla speculativa negli impieghi finanziari e negli investimenti delle imprese. Anche in tali casi un banchiere centrale lungimirante interviene nella fase precoce.

Inoltre l’inflazione europea, che pure esiste, ha una natura transitoria. La Bce ha combattuto contro un aumento dei prezzi che in larga misura era dovuto al modo imperfetto con cui era stato gestito il passaggio all’euro. La nostra inflazione è comunque destinata a rallentare senza bisogno di una donchisciottesca politica di alti tassi di interesse, volti a rafforzare l’euro contro il dollaro.

Il ravvedimento di Duisenberg e compagni è tardivo. E il mercato lo ha capito. L’euro ieri invece di scivolare ha fatto registrare un nuovo apprezzamento verso il dollaro.

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