Il regno di terrore di Saddam Hussein è terminato. Tuttavia ad andarsene non è solamente il governo Baath. Insieme al regime sono andate a fondo anche le Nazioni Unite.
A scomparire non saranno forse tutte le Nazioni Unite, ma rimarranno in piedi le sezioni dell’Organizzazione che si dedicano alle «buone opere», come le burocrazie relative alle mansioni di peacekeeping o quelle che sovrintendono ai progetti sanitari e umanitari.
Sull’East River, dove ha sede l’Onu, si continua a piagnucolare. A morire insieme alla mancata volontà da parte del Consiglio di Sicurezza di approvare l’uso della forza per contrastare il possesso delle armi di distruzione di massa da parte dell’Iraq è stata anche la credenza decennale che considerava le Nazioni Unite come il bastione dell’ordine mondiale.
Mentre rimuoviamo le macerie della guerra scoppiata per liberare l’Iraq è importante comprendere il naufragio intellettuale del concetto liberale di sicurezza concepito attraverso il diritto internazionale amministrato dalle istituzioni internazionali.
Se la liberazione dell’Iraq testimonia l’incubo durato 25 anni del regime di Saddam, non dobbiamo dimenticare chi ha e chi non ha appoggiato questa guerra, chi ha ritenuto che l’autorità morale della comunità internazionale risiedesse in quelle richieste per concedere più tempo agli ispettori dell’Onu e chi ha marciato contro «il cambio di regime».
In quello spirito di riconciliazione postbellica che i diplomatici tendono a favorire non dobbiamo rassegnarci alla nozione in base a cui l’ordine mondiale ci impone di fare marcia indietro di fronte agli stati-canaglia che terrorizzano i propri cittadini e costituiscono una minaccia per i nostri.
Onesti e coscienziosi, i milioni di dimostranti che hanno marciato contro la guerra in Iraq sono stati catalizzati dall’idea che solamente il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite detiene l’autorità per legittimare il ricorso alla forza. Come se non bastasse, invece, una coalizione volontaria formata da democrazie liberali e intenzionata a mettere a disposizione i propri soldati.
Né sembra importare che tali truppe vengano impiegate per dare vigore alle richieste delle Nazioni Unite. Se un paese o una coalizione di paesi che non sia il Consiglio di Sicurezza dell’Onu decide di ricorrere alla forza, anche come soluzione estrema, sarà l’«anarchia» e non il diritto internazionale a prevalere, distruggendo così ogni speranza di ordine mondiale. Di questo erano convinti i dimostranti.
Ma si tratta di un’idea pericolosamente sbagliata, un’idea che conduce inesorabilmente a delegare importanti decisioni di ordine morale, politico e militare a paesi come la Siria, il Camerun, l’Angola, la Russia, la Cina e la Francia.
Se una determinata politica è giusta quando è approvata dal Consiglio di Sicurezza, come può essere sbagliata solo perché la Cina comunista o la Russia o la Francia o un gruppo di dittature minori nega l’approvazione? Coloro che si sono opposti alle azioni della coalizione in Iraq comunemente ricorrono alla risposta che l’«ordine» deve avere la priorità sull’«anarchia».
Ma è giusto tutto questo? Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite rappresenta davvero l’istituzione maggiormente in grado di assicurare l’ordine e di salvarci dall’anarchia? La storia dice di no.
Le Nazioni Unite nacquero dalle ceneri di una guerra che la Società delle Nazioni non fu in grado d’impedire. La stessa Società delle Nazioni semplicemente non si dimostrò all’altezza né di far fronte all’Italia in Abissinia né di ostacolare la Germania nazista. Nella fase euforica che fece seguito alla vittoria della Seconda guerra mondiale, la speranza che la sicurezza potesse essere resa collettiva venne riposta nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ma i risultati furono deludenti.
Durante la Guerra Fredda il Consiglio di Sicurezza fu interamente paralizzato. Anzi, la decisione di difendere la Corea del Sud dalla minaccia di un attacco nel 1950 fu presa dal Consiglio solamente perché Stalin ordinò ai suoi diplomatici di boicottare le procedure Onu, il che significava che nessun ambasciatore sovietico dovesse presentarsi per porre un veto. Fu un errore in cui i sovietici non incorsero più.
Sia nel 1967 che nel 1973, con una guerra incombente, le Nazioni Unite si ritirarono dal Medio Oriente, lasciando Israele a difendersi da solo. L’impero sovietico venne messo a terra e l’Europa dell’Est venne liberata non certo dalle Nazioni Unite, ma dalla madre di tutte le coalizioni, ovvero la Nato. Di fronte alle molteplici aggressioni di Milosevic, le Nazioni Unite non sono state in grado di fermare la guerra nei Balcani e neppure di proteggerne le vittime.
Vi ricordate Sarajevo? Vi ricordate di Sebrenica e del massacro di migliaia di musulmani sotto la presunta protezione delle Nazioni Unite? Ci volle una coalizione di volonterosi per salvare la Bosnia dall’estinzione e, quando la guerra finì, la pace fu conclusa a Dayton, nell’Ohio; non alle Nazioni Unite. Il salvataggio dei musulmani del Kosovo non fu un’azione intrapresa dall’Onu: la loro causa non ottenne mai l’approvazione del Consiglio di Sicurezza.
Questo secolo sfida ora per molti versi le speranze di un nuovo ordine mondiale. Noi non sconfiggeremo né riusciremo a contenere il terrore dei fanatismi se non potremo muovere guerra contro quei paesi dai quali vengono lanciati gli attacchi terroristici.
Ciò presuppone talvolta che dobbiamo ricorrere all’uso della forza contro gli stati che danno ospitalità ai terroristi, come è avvenuto per il regime dei Talebani in Afghanistan. I più pericolosi di questi stati sono quelli che possiedono armi di distruzione di massa, le armi chimiche, biologiche e nucleari in grado di uccidere non centinaia o migliaia ma centinaia di migliaia di persone.
L’Iraq è uno di questi ma ce ne sono altri. Qualsiasi speranza possa esistere che tali stati possano essere convinti a far venire meno l’appoggio o la protezione per i terroristi si basa sulla certezza e sull’efficacia dei nostri atteggiamenti.
Il fallimento cronico del Consiglio di Sicurezza di far rispettare le sue risoluzioni (relativamente all’Iraq) è innegabile: semplicemente si tratta di non essere all’altezza del proprio compito.
Così non ci rimangono che le coalizioni di volonterosi. Lungi dal bollarle come una minaccia per il nuovo ordine mondiale, dovremmo riconoscere che esse costituiscono invece la miglior speranza che si attui tale ordine nonché la vera alternativa all’anarchia causata dal profondo fallimento delle Nazioni Unite.
* Ex-consigliere del segretario alla Difesa americano Donald Rumsfeld
Copyright: Project Syndicate & Corriere del Ticino, aprile 2003.
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