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Insediamenti: ecco le regole dell’Ue

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La sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 9 marzo 1999 sul “caso Centros” ha a oggetto la libertà di stabilimento ed, in particolare, l’interpretazione degli articoli 52 e 58 del trattato della comunità europea.
La questione è sorta nell’ambito di una controversia tra Centros Ltd, “private limited company” registrata in Inghilterra, e l’Erhvervs- og Selskabsstyrelsen (direzione generale del commercio e delle società), dipendente dal ministero del Commercio danese, in merito al rifiuto da parte di tale amministrazione di registrare in Danimarca una succursale di Centros.
Invero, fin dalla sua registrazione, Centros non aveva svolto alcuna attività commerciale in Inghilterra ed, anzi, era stata costituita con un capitale nominale di sole cento sterline, peraltro in conformità col diritto societario inglese.
Quando la signora Bryde, amministratore della società, aveva richiesto la registrazione di una succursale di Centros in Danimarca, la direzione generale del commercio gliela negava, in ragione del fatto che Centros andava, di fatto, a costituire non una succursale, bensì una sede principale, eludendo le leggi nazionali in materia. Difatti, le norme in tema di capitale sociale minimo vigenti in Danimarca impongono di versare alla società ben duecentomila corone danesi; laddove il diritto inglese non prevede l’obbligo per i soci di costituire un capitale sociale minimo.
L’amministrazione, inoltre, giustificava il proprio rifiuto con la necessità di tutelare i creditori, pubblici o privati, e i contraenti, e con l’esigenza di lottare contro la bancarotta fraudolenta.
Il giudice nazionale rimetteva, così, la questione alla Cgce. Il governo danese, alla luce del fatto che Centros non svolgeva in Inghilterra alcuna attività, escludeva addirittura che il caso di specie potesse essere regolato dall’articolo 52 del Trattato Ce, non riconoscendo nessun elemento di estraneità rilevante sotto il profilo del diritto comunitario.
Ricordiamo che l’articolo 52 del Trattato comporta per i cittadini comunitari il diritto di accedere alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese alle stesse condizioni definite dalla legislazione del Paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini. Inoltre, l’articolo 58 equipara alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro d’attività principale all’interno della Comunità.
Il fatto che un cittadino di uno Stato membro che desideri creare una società scelga di costituirla nello Stato membro le cui norme di diritto societario gli sembrino meno severe e crei succursali in altri Stati membri non può costituire di per sé un abuso del diritto di stabilimento, né, tantomeno, può collocarsi in disarmonia con la ratio ricavabile dalle disposizioni citate. Infatti, il diritto di costituire una società in conformità alla normativa di uno Stato membro e di creare succursali in altri Stati membri è inerente all’esercizio, nell’ambito di un mercato unico, della libertà di stabilimento garantita dal Trattato.
Secondo la Corte, la circostanza che una società non svolga alcuna attività nello Stato membro in cui essa ha la sede e svolga, invece, le sue attività unicamente nello Stato della sua succursale non sarebbe sufficiente a dimostrare l’esistenza di un comportamento abusivo e fraudolento.
In più, secondo consolidata giurisprudenza comunitaria, i provvedimenti nazionali che possono ostacolare o scoraggiare l’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato devono soddisfare quattro condizioni: devono applicarsi in modo non discriminatorio, essere giustificati da motivi imperativi di interesse pubblico, essere idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo.
Poiché Centros si presenta come una società di diritto inglese, i suoi creditori sono informati del fatto che essa è soggetta a una normativa diversa da quella che disciplina in Danimarca la costituzione di società a responsabilità limitata e questo vale a soddisfare gli obiettivi di tutela cari alle autorità danesi.
Quindi, gli articoli 52 e 58 del Trattato Ce ostano a che uno Stato membro rifiuti la registrazione di una succursale di una società costituita in conformità alla legislazione di un altro Stato membro nel quale essa ha la sede senza svolgervi attività commerciali, quando la succursale ha lo scopo di consentire alla società di cui si tratta di svolgere l’intera sua attività nello Stato membro nel quale la stessa succursale verrà istituita, evitando di costituirvi una società ed eludendo, in tal modo, l’applicazione di norme, relative alla costituzione delle società più severe in materia di liberazione di un capitale sociale minimo.
Tuttavia, questa interpretazione non esclude che le Autorità dello Stato membro interessato possano adottare tutte le misure idonee a prevenire o sanzionare le frodi, sia nei confronti della stessa società, eventualmente in cooperazione con lo Stato nel quale essa è costituita, sia nei confronti dei soci, rispetto ai quali sia dimostrato che intendono in realtà eludere le loro obbligazioni nei confronti dei creditori privati o pubblici stabiliti nel territorio dello Stato membro interessato.
Questa “epocale” pronuncia si inserisce con prepotenza nel dibattito relativo alla competizione regolamentare ed alla mercatizzazione delle norme. La tradizionale libertà di stabilimento, comunitariamente intesa, diviene qui libertà scegliere le regole dell’ordinamento che il cittadino ritenga a sé più favorevoli.
Diversi passaggi della motivazione autorizzano riflessioni intorno alla concorrenza tra gli ordinamenti e, più in generale, alla crisi del “diritto europeo”. Al capo 28, infatti, leggiamo la presa di coscienza da parte della Corte del fatto che il diritto delle società sia poco armonizzato all’interno della Comunità. In particolare, ci si può interrogare se la concorrenza non possa, in alternativa e meglio dell’uniformazione normativa, contribuire ad edificare lo spazio giuridico europeo (Zoppini). Il diritto societario, poi, evidenzia, più di ogni altra materia, l’interdipendenza tra gli ordinamenti e i devastanti effetti dinamici che essa sprigiona: infatti, il destinatario del precetto sceglie la norma che ritiene più favorevole ed il manifestarsi di questa preferenza si riflette sulle determinazioni del legislatore nazionale, che modifica il proprio sistema giuridico.
Un altro interessante spunto suggerito dalla sentenza è rappresentato dalle considerazioni intorno all’esigenza di tutela dei creditori danesi. Questa s’intenderebbe soddisfatta con il semplice onere, a carico della società, di informare i creditori che la società è assoggettata ad un regime diverso da quello vigente in Danimarca, in applicazione, forse, del generale principio della par condicio creditorum, in rapporto ad ipotetici creditori inglesi.
Infine, una sola perplessità discende dalla lettura del dispositivo: caldeggiare una cooperazione tra Stati membri al fine di prevenire o sanzionare le frodi sembrerebbe poco realistico, nel contesto del “supermercato” europeo delle regole.
di Luca Longhi