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INFLAZIONE, ARRIVA IL CONTO

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L’inflazione non rallenta. Anzi accelera. Ieri i dati della città campione ci hanno fatto sapere che in ottobre i prezzi al consumo sono aumentati dello 0,3%, mentre su base annua la variazione è salita al 2,7% dal 2,6% di settembre.

L’arrivo dell’euro, il grande accusato, è sempre più distante, ma la dinamica dei prezzi punta con decisione verso l’alto. Ottobre, dicono gli esperti, è un mese stagionalmente sfavorevole. L’impressione però è che mesi favorevoli per i prezzi non esistano: nell’ultimo trimestre i prezzi il consumo hanno marciato a un ritmo del 3% annuo.

E sui prezzi non si stanno scaricando i costi dei rinnovi contrattuali, perché da mesi, e parliamo dei lavoratori più fortunati, non sono stati siglati rinnovi. E quelli rinnovati, tipo il pubblico impiego, giacciono dimenticati nel cassetto.

Certo, non siamo nel 1980, anno in cui l’inflazione su base annua segnò un incremento del 20%. Colpa della scala mobile, era l’analisi che facevano allora gli economisti. Quel 20% (destabilizzante per la democrazia, come sosteneva Giorgio Amendola) non era, però, una anomalia a livello internazionale.

Anche negli altri paesi industrializzati l’inflazione era alta e, per buona fortuna dell’Italia, la svalutazione della lira metteva molte cose a posto. Oggi il livello dei prezzi è molto più basso, ma il differenziale con gli altri paesi industrializzati (cioè concorrenti del «made in Italy») tende ad ampliarsi.

In Francia e Germania, solo per citare due diretti concorrenti, la dinamica dell’inflazione è la metà di quella italiana, anche in presenza di aumenti salariali notevolmente più elevati. Allora, da dove nasce l’inflazione italiana?

Non certamente dalla domanda che è debole in tutte le componenti, con i consumi penalizzati dalla mancata crescita del reddito. Dire che è colpa del petrolio è banale: tutti i paesi sono sulla stessa barca e la bolletta petrolifera (stabile da un anno) incide con pochissime differenze sulle varie economie.

Emerge invece con chiarezza – sicuramente a Billé dispiacerà che lo si dica – che l’inflazione origina soprattutto nel terziario, nei servizi, dalle posizione di monopolio che anche le piccole botteghe di quartiere sfruttano a dovere. Insomma, mentre tutto è fermo, c’è chi sfrutta posizioni di «rendita» per far salire i prezzi, nonostante il governo abbia deciso un «blocco» e molti comuni siglato accordi con le associazioni del commercio.

Per quest’anno il governo aveva previsto un tasso programmato di inflazione dell’1,7%: l’inflazione reale su base annua sarà di circa il 2,5%. Questo significa che salvo improbabili rapide discese, a dicembre i prezzi al consumo segneranno un incremento di circa il 3%.
La perdita del potere d’acquisto dei salari è evidente. E lo sarà ancora di più nel 2003: a fronte di un tasso programmato d’inflazione dell’1,4%, l’inflazione rimarrà attorno al 2,2-2,4% a meno di non ipotizzare una deflazione spaventosa che spinga sottozero la crescita del Pil.

Firmare i nuovi contratti accettando come base il tasso programmato, significa perciò condannare i lavoratori a vedersi tagliare immediatamente un 1% del loro potere d’acquisto. E, in questo contesto, l’alleggerimento fiscale varato dalla finanziaria per i redditi più bassi sarà abbondantemente eroso dall’inflazione, visto che non è previsto un meccanismo di recupero del fiscal drag. Lo ha denunciato due settimane fa la Cgil e la denuncia è di stretta attualità.

Infine, e non è un elemento secondario, il blocco delle risorse agli enti locali e il divieto di aumentare le addizionali Irpef a loro destinate, creerà nuovi problemi ai cittadini: da un alto un sicuro taglio delle prestazioni sociali (o il pagamento a prezzi di mercato delle medesime, per chi è in grado di permetterselo) dall’altro un sicuro aumento dei prezzi e delle tariffe per beni necessari come ad esempio i trasporti pubblici.

Per buon peso potremmo aggiungere il condono edilizio (è sicuro che ci sarà) che forse procurerà un po’ di gettito ai comuni, ma poi li obererà degli oneri delle urbanizzazioni che saranno, naturalmente, scaricati su tutti i contribuenti. Compresi quelli che vivono in affitto. In nero, quasi sempre, perché l’evasione fiscale seguita a essere lo sport preferito dei proprietari di case. Certi che un condono questo governo non lo nega a nessuno.

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