Dopo la promessa di limare i pesanti dazi che toccano anche il 250 per cento sull’import di vini, spumanti e liquori, il Governo di Nuova Delhi emana una norma che ne consente il commercio anche tramite i canali di distribuzione finora vietati. Lo conferma Antonio Motteran, il direttore generale di Carpenè Malvolti, una delle diciotto aziende dell’Istituto grandi marchi del vino italiano che dal 15 al 19 gennaio scorsi partecipano al Vinitaly, la manifestazione organizzata da Veronafiere e Buonitalia, con tappe a Mumbai e a Nuova Delhi. “È significativo come l’apertura al consumo di vini stranieri anche fuori dai grandi alberghi e ristoranti internazionali, gli unici luoghi in cui a oggi era permesso, sia stata annunciata proprio nei giorni in cui siamo impegnati a promuovere la qualità del vitivinicolo italiano – sottolinea Motteran -. Passerà del tempo prima dell’entrata in vigore, ma il solo annuncio ha suscitato enorme entusiasmo sia tra gli operatori sia tra i consumatori. Tutti convinti che la nuova norma di fatto spalanchi le porte del mercato indiano alla produzione made in Italy”. Con questa mossa il Governo segnala di aver recepito quale sia il livello di interesse delle nuove classi medio alte, le quali individuano nel linguaggio del vino una delle modalità di aggancio con il mondo occidentale. Si tratta di alcuni milioni di cittadini, giovani indiani tra i 25 e i 35 anni residenti nelle grandi città, che rappresentano un fatto culturale nuovo perché guardano sempre più allo stile occidentale, compreso quello alimentare, pur senza rinunciare all’identità delle proprie radici. Proprio per questo Vinitaly fa tappa a Mumbai e nella capitale, precisa il direttore generale di Carpenè Malvolti: “È qui che vanno gettate le basi per entrare con stabilità nel loro mercato”. Secondo Motteran le prospettive di sviluppo dei rapporti commerciali italo-indiani nel vitivinicolo sono senza dubbio buone. In particolare per il settore degli spumanti, le cui caratteristiche di leggerezza e freschezza, oltre alla gradazione alcolica contenuta, ben si combinano con i gusti della nuova middle class indiana. “Un elemento importante in termini di concorrenza è costituito dal prezzo dei nostri vini – rivela Motteran -. Costano fino a un quarto in meno dello champagne francese, tuttora il più consumato dai nuovi ricchi indiani appassionati di bollicine”. La strategia dell’Istituto grandi marche, accanto alle operazioni commerciali vere e proprie, punta sulla diffusione della conoscenza della cultura italiana del vino nelle aree del grande Paese asiatico in cui si è meno legati a stereotipati stili di vita. “Bisogna considerare che per gli indiani il vino è da sempre un alimento come gli altri. La funzione dell’alcol è quasi solo quella di contribuire a placare i morsi della fame, per questo la produzione locale non è certo di qualità. Un’abitudine, conclude Motteran, che ci obbliga a fare pochi passi alla volta per trasformare la necessità in piacere. Quindi noi per ora esportiamo in India solo il prodotto finito, dopo, con il tempo, come, per esempio, si sta iniziando a fare in Cina, potremo pensare di presidiare il mercato dall’interno tramite la creazione di una filiera di produzione del vino imperniata sulla qualità, sul modello di quella italiana”.