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In Spagna le banche sono sotto attacco

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Barcellona – Barcellona è gremita di turisti. L’anno scorso il numero dei pernottamenti negli alberghi è aumentato. I locali di Plaça Catalunya servono ancora caffè a prezzi esorbitanti e gli agenti di polizia allontanano i mendicanti. Per trovare i segni della crisi ci si deve allontanare di qualche isolato.

All’incrocio con l’Avinguda Diagonal, faccio la conoscenza di Pedro Pandalor, un uomo esile che si è sistemato di fronte a una filiale della Bankia. Vorrebbe farvi irruzione. Alcune persone che la pensano allo stesso modo si sono unite a lui. Hanno avvisato le redazioni dei giornali, così che riportino la notizia delle loro proteste, ma i giornali hanno detto di non essere interessati. C’è chi fa irruzione in banca in ogni angolo della Spagna.

Bankia, una banca di Madrid nata nel 2010 dalla fusione di sette casse di risparmio regionali, ha sfrattato Panlador dal suo appartamento in un condominio perché non riusciva più a pagarne il mutuo. Nei primi tre mesi di quest’anno, in tutta la Spagna per lo stesso motivo sono stati sfrattati fino a 200 inquilini di case e appartamenti ogni giorno.

Panlador, nato in Colombia, vive a Barcellona da dodici anni e al momento è indebitato di 242mila euro. Prima della crisi faceva l’autista, ma ormai è disoccupato da oltre due anni. I passanti gli si avvicinano, alcuni per incoraggiarlo, altri per applaudirlo. Nessuno pensa che stia commettendo un errore a restarsene di fronte all’ingresso della banca e a dare del “criminale” a ogni dipendente. Panlador afferma di avere intenzioni “pacifiche”, di voler soltanto “parlare con il direttore”.

Bankia nel 2011 ha perso tre miliardi di euro, e al momento ha bisogno di oltre venti miliardi se vuole evitare di fare bancarotta e di trascinare con sé nel baratro il sistema finanziario spagnolo. L’ultimo suo amministratore delegato è stato Rodrigo Rato, ex ministro delle finanze durante il mandato di premier di José María Aznar. Rato è stato anche managing director del Fondo monetario internazionale fino al 2007. È possibile che l’Fmi presto debba intervenire in aiuto alla Spagna. Sembra quasi uno scherzo.

Panlador e i suoi uomini sono pronti a dare l’assalto alla banca. È la prima volta che si accingono a fare una cosa del genere. In passato Panlador si era già accampato fuori dalla filiale della Bankia, ma ritiene che se vi facesse irruzione, la notizia colpirebbe molto di più. Fa dunque appello a tutto il suo coraggio e si avvicina all’ingresso, dove vede che c’è un’entrata di sicurezza e un campanello. Suona. Bankia non apre. Panlador torna dagli altri. Sembrano un po’ perplessi. Alla fine qualcuno inizia a suonare un fischietto. Panlador attacca alcuni adesivi alle vetrine della filiale: su di essi leggo che le banche dovrebbero smettere di far causa ai loro clienti insolventi e non dovrebbero sfrattarli dalle loro case. La Spagna mi sembra diventata un paese di tristi proteste.

Panlador arretra. In Spagna non è previsto il fallimento individuale e quindi ognuno deve continuare a pagare il proprio mutuo in ogni caso. Il debito di 242mila euro incomberà per sempre su di lui, per tutta la vita. “Sono stanco”, dice.

Sarebbe naturale pensare che le proteste abbiano bisogno ogni tanto di un successo almeno parziale, di qualcosa che offra la speranza che vale la pena lottare. Ed è naturale pensare che sia importante sapere chi è il nemico. Ma di chi è la colpa? Di Bankia, che ha concesso un mutuo pari a 250mila euro a un uomo che guadagnava circa 940 euro netti al mese? O di Panlador, che ha sottoscritto quel mutuo? Nessuno lo ha costretto a farlo. Quindi, forse, la colpa è di entrambi.

Oppure, forse, in definitiva tutto si riduce al mare di opportunità che c’era: si costruiva dappertutto e un po’ ovunque si facevano soldi. Si trattava di soldi facili, e le banche, in pratica, quasi li regalavano. Pareva che il settore immobiliare si finanziasse da solo, e che ci fossero posti di lavoro disponibili a iosa.

Tutto ciò ha trasformato gli spagnoli in fanatici delle scommesse e l’intero paese in una casa da gioco. Nessuno doveva più subire la vergogna di possedere un semplice cottage per il weekend alla periferia della città, quando tutti i suoi vicini possedevano una casa a Conil, sulla Costa de la Luz. Ma chi avrebbe potuto prevedere che tutto ciò si sarebbe concluso con persone come Pedro Panlador in attesa fuori da una banca, alle quali si rifiuta addirittura l’ingresso dopo che hanno suonato il campanello?

Gli stringo la mano e gli auguro buona fortuna. Barcellona è una splendida città, molto più bella di Berlino, di Francoforte o di Monaco, malgrado tutti i cartelli “In vendita” appesi ai balconi delle case, a dispetto di tutti i negozi dei commercianti d’oro che spuntano un po’ ovunque per vendere i gioielli di famiglia degli spagnoli disperati.

Per me la città assomiglia un po’ alla moglie di un direttore d’azienda che si rifiuta ostinatamente di credere che la società del marito sia fallita: si stringe ancora addosso la sua pelliccia, indossa l’anello di diamanti e usa vasellame di porcellana, ma tutti sanno che per lei presto sarà finita.

Il tasso di disoccupazione a Barcellona l’anno scorso è salito dal 7 al 17,7 per cento. Essendo la città più ricca della Spagna, questo dato sulla popolazione disoccupata fa sicuramente impressione.

Salgo in auto e mi allontano da Barcellona. Ho un appuntamento a Sabadell, cittadina un tempo nota per la sua produzione tessile. Lì incontrerò Antonio, un padre di famiglia che ha perso anch’egli la casa, ma non ha intenzione di dare l’assalto a una banca. Preferisce difendersi e ha occupato un appartamento.

È primo pomeriggio e Antonio se ne sta sulla soglia dell’appartamento occupato. Capisce subito quel che penso di lui: assomiglia a George Clooney. “Lo so, me lo dicono tutti”. Indietreggia per farmi passare nello stretto corridoio e mi mostra un piccolo bagno, un cucinino con un grande frigorifero e una camera nella quale ci sono due letti, ciascuno dei quali ha un peluche sopra. “Ecco, questo è tutto. Due stanze a piano terra”, dice Antonio. Questa è la sua nuova casa. Ci sono vari scatoloni stipati in bagno.

“Da quanto vivi qui?”, gli chiedo. “Da due giorni”. “Come sei riuscito a entrare?”. “Non posso dirtelo. Ma un tempo ero saldatore. Domani le mie bambine potranno dormire qui per la prima volta”. Antonio ha due figlie, di 14 e 17 anni. La più giovane va a scuola, la più grande frequenta un tirocinio per diventare parrucchiera. A causa della crisi, però, non la pagano. Oltretutto è l’unica della sua classe ad aver trovato un posto. Antonio sposta un peluche e si siede sul letto.

Senza alternative

Antonio Zamora Hidalgo, 47 anni, un tipo mite, ha iniziato la sua lotta contro il sistema un paio di giorni fa. Lavorava per una industria metallurgica da oltre 20 anni e per 12 ha sempre pagato le rate del mutuo del suo appartamento alla Bbva, la più importante banca spagnola. Non appena ha interrotto il pagamento delle rate ha perso tutto.

In Spagna non esiste un equivalente dei sussidi tedeschi del welfare Hartz IV per chi è disoccupato da tempo. C’è però una normativa in base alla quale chi ha preso soldi in prestito per saldare il proprio debito non può semplicemente restituire i suoi beni a chi glieli ha prestati. Nel peggiore dei casi, oltre a perdere le sue proprietà deve in ogni caso saldare l’intero importo del debito contratto con la banca.

A Hidalgo non restavano alternative. Non sapeva proprio che altro fare per le sue figlie. Sua moglie l’ha lasciato perché non riusciva a far fronte a quello che era accaduto alla loro famiglia. Antonio si è rivolto al Pah, un’iniziativa locale sorta a Barcellona, dove gli hanno detto che il 20 per cento degli appartamenti in Spagna è vacante. Uno di questi era la casa di Sabadell, dove nessuno abitava da oltre cinque anni.

Il piccolo appartamento è in una tranquilla stradina nel quartiere di Can n’Oriac. Appartiene a Caixa Catalunya, una di quelle banche di risparmio provinciali spagnole megalomani, che hanno erogato mutui in maniera indiscriminata negli ultimi anni per poi essere salvate in extremis da un bailout con i soldi dei contribuenti.

“È questo che ti immaginavi?”, mi chiede Antonio. Mi guardo intorno nella stanzetta occupata quasi per intero dai due letti. A mia volta gli chiedo: “Se proprio dovevi occupare un appartamento illegalmente, perché non ne hai scelto uno di poco più grande?”. Antonio scoppia a ridere. Non si riferiva al suo appartamento, ma alla situazione de paese. E dice: “Posso dirti io com’è la situazione in Spagna. È tale che gente come me è costretta a occupare un appartamento”.

Mentre mi allontano in macchina lungo l’autostrada, mi chiedo di chi sia la colpa, in questo caso. Quest’uomo non ha mai avuto guai con la polizia. Non beve, non è un anarchico, non è di sinistra. Non segue neppure i telegiornali. Adesso, però, è uno squatter. Forse, è stato soltanto sfortunato. Forse è stato trascinato nel baratro dalla slavina creatasi con il sistema dei prestiti a basso costo e dell’aumento dei prezzi degli immobili, da quello che chiamavano il miracolo economico spagnolo che è franato, da quel periodo così ben illustrato in un articolo pubblicato in prima pagina dal Time e intitolato “La Spagna vacilla”.

Traduzione a cura di Anna Bissanti

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