Michael Riddell, team fixed income di M&G Investments
Ora sappiamo che la ‘barriera’ di sicurezza tra i Paesi era un’illusione. Mercoledì scorso abbiamo avuto la più massiccia svendita di Credit Default Swaps portoghesi e irlandesi (e la seconda più grande di CDS greci), e ora in Italia la situazione è drammatica. Gli spread sul rendimento delle obbligazioni italiane a dieci anni si sono ampliati di 25 punti base sulla Germania segnando un livello record nell’era Euro. Venerdì le obbligazioni di Stato italiane a lunga scadenza sono scese di 2 punti.
Le azioni Unicredit sono state sospese al ribasso, come già successo due settimane fa. Oggi all’Italia un prestito a cinque anni costa il 4,6%, il 5,3% se è a dieci anni. Fino a poco fa, l’Italia è stata considerata dal mercato (non da noi) come un Paese periferico “sicuro” e molti investitori internazionali hanno aumentato il peso dell’Italia rispetto ai benchmark come un’alternativa all’esposizione nulla su Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna.
I “tori” dell’Italia hanno motivato questa tesi sottolineando che mentre il rapporto tra il debito del settore pubblico e il PIL è un preoccupante 120%, l’Italia ha di fatto un debito del settore privato molto piccolo (un po’ come il Giappone). Oppure che l’Italia è troppo grande per fallire (è il terzo più grande debito di Stato insoluto nel mondo – più di €1,6 trilioni, è maggiore solo quello di Giappone e Stati Uniti). O ancora che l’Italia ha un mercato delle obbligazioni di Stato grande e molto liquido, con grandi acquirenti domestici.
Oppure che il rapporto debito pubblico/PIL e il suo carico di interessi erano molto peggio nel 1990 e il Paese è sopravvissuto. O che il debito dell’Italia ha una lunga scadenza media, quindi i costi di finanziamento immediati non sono particolarmente onerosi e può sopportare dei rendimenti sulle obbligazioni più alti senza veder crescere eccessivamente il peso degli interessi (in modo simile al Regno Unito).
Gli “orsi” dell’Italia sostengono che il Paese può essere visto come troppo grande per fallire, ma ciò non significa che questo non possa accadere, ed è troppo grande per salvarsi. Oppure che le banche italiane stanno vedendo un lento ma continuo deterioramento nella qualità degli asset. O ancora sottolineano la degenerazione della situazione politica. La preoccupazione principale degli orsi riguarda il modo in cui l’Italia può prevenire il peggioramento dell’alto rapporto debito pubblico/PIL considerando le prospettive di crescita preoccupanti.
Il mio dato statistico preferito è probabilmente che il PIL italiano pro capite è più basso oggi di quanto lo fosse nel 1999, che è notevole se consideriamo che questa triste performance economica avvenne durante gli anni del “boom” (Zimbabwe e Haiti sono due dei pochi altri Paesi con record peggiori). Ma qualunque sia o sia stata la view, la realtà oggi è che se il prezzo delle obbligazioni dell’Italia, della Spagna o di qualunque altro Paese collassa, il costo del prestito sale. E quando ciò avviene, i costi degli interessi crescono costantemente e la situazione fiscale si degrada.
Questo mette pressione al settore bancario – come mostra il grafico di BNP Paribas: non è un concetto nuovo, ma rinforza il fatto che se i titoli sovrani di Italia e Spagna saranno sottoposti ad ulteriore stress, gli spread sul debito finanziario senior aumenteranno in accordo. Quando i titoli sovrani dei Paesi periferici esplodono, le banche hanno bisogno di raccogliere sempre più capitale per proteggersi dai costi della futura ristrutturazione dei sovrani, ma questo capitale bancario diventa sempre più costoso proprio nel momento in cui le banche ne hanno maggiormente bisogno.
Inoltre ci sono le agenzie di rating. L’aumento dei costi dei sovrani e dei prestiti bancari porterà al declassamento del rating. Uno dei fattori principali nelle decisioni di downgrade sembra essere il movimento nei prezzi delle obbligazioni. In altre parole, il rating del credito in parte viene abbassato perché il prezzo dei bond scende. Da un lato questo è razionale, dal momento che gli interessi aumentano quando i rendimenti dei titoli di Stato salgono, e la capacità di credito diminuisce.
L’Italia non ha il lusso del Giappone, dove il 95% del debito sovrano è di proprietà nazionale. In Italia, nonostante si parli di grandi compratori domestici, la realtà è che solo la metà del debito sovrano è in mano agli investitori nazionali e gli investitori internazionali stanno chiaramente diventando molto nervosi. Giovedì scorso Trichet ha criticato le agenzie di rating, ma questo non farà la differenza: quando il genio della fiducia in se stessi esce dalla bottiglia, è molto difficile farlo tornare dentro. È un classico circolo vizioso.