Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
(WSI) – Disinteressati e disinformati. Gli italiani, specialmente i più giovani, a pianificarsi una previdenza integrativa non ci pensano proprio; e della riforma che dal primo gennaio rende possibile destinare il proprio Tfr a un fondo pensione sanno poco o nulla.
Il quadro, con poche luci e molte ombre, è stato disegnato dal Centro di ricerca dell’Università Iulm di Milano, coordinato dal professor Carlo A. Ricciardi, con la collaborazione di CedCamera e ABResearch: un’indagine su un campione di 1.324 individui di età compresa tra i 20 e i 59 anni, dalla quale emerge un dato semplicissimo: la previdenza complementare in Italia stenta a decollare.
Hai gia’ provato le quotazioni in tempo reale e il book a 15 livelli del NASDAQ? Scopri le eccezionali performance di questo tool, vai su INSIDER
Gli italiani infatti mettono da parte i loro soldi per ripararsi da eventi imprevisti, per provvedere alle necessità dei figli o per comprarsi la casa; mentre ad assicurarsi una vecchiaia economicamente solida cominciano a pensare solo dopo i 40 anni, e non come ad una priorità. IL RUOLO DELLO STATO Molto significativa è la risposta che gli intervistati hanno dato alla domanda: «A chi spetta assicurare un adeguato tenore di vita dopo il pensionamento?» Il 70% ha risposto: lo Stato; meno del 20% ha indicato invece gli individui.
Ecco perché nel 2005 gli iscritti a un fondo pensione erano meno di tre milioni. Tornando al campione preso in esame dai ricercatori, oltre il 71% ha dichiarato di non avere, e di non aver mai avuto, una pensione integrativa. E le motivazioni addotte tradiscono il sostanziale disinteresse per la materia: oltre il 60% confessa «non ci ho mai pensato» o ammette «non sono interessato».
All’indifferenza s’aggiunge la scarsa conoscenza dello strumento (finora, peraltro, promosso quasi esclusivamente da banche, assicurazioni e società di gestione dei fondi comuni: interessate a promuovere i loro prodotti, e quindi non percepite come consulenti imparziali) e la poca informazione sulla recente riforma del Tfr. Un’ignoranza condivisa, per di più, dalle imprese, che un qualche ruolo nell’indirizzare le scelte dei loro dipendenti potrebbero averlo.
Ebbene, prendendo in esame un certo numero di aziende attive nel settore industriale, commerciale e dei servizi, la ricerca rivela che gli imprenditori si dichiarano sì informati (l’84% tra i grandi, il 59% tra i piccoli); ma quelli che poi sanno rispondere correttamente alle due domande di verifica (quando entrerà in vigore la riforma e in che cosa consiste il meccanismo del silenzio-assenso) sono soltanto il 50% dei grandi e il 27% dei piccoli.
LE NUOVE NORME SUL TFR Nelle intenzioni del governo, le nuove norme dovrebbero rilanciare la previdenza integrativa. Anche grazie al meccanismo del silenzioassenso: il lavoratore che non faccia alcuna richiesta esplicita, verrà automaticamente iscritto al fondo pensione di categoria. Insomma, dove non sono riusciti finora gli incentivi fiscali (peraltro poco incisivi), dovrebbero ora riuscire gli automatismi di adesione. La filosofia è: invece di incoraggiare una decisione, trasformare l’inerzia decisionale in una scelta.
Negli Stati Uniti, strumenti simili si sono in effetti dimostrati molto efficaci. Gli estensori della ricerca muovono però due obiezioni: da un lato, tali meccanismi interessano in Italia solo i lavoratori dipendenti, una platea non vastissima, dalla quale rimangono escluse molte categorie, quali autonomi, atipici, precari e dipendenti pubblici. Inoltre: se il silenzio-assenso può aiutare, sarebbe assai più importante il diffondersi tra gli individui di un’attitudine favorevole alla pianificazione finanziaria di lungo periodo. Magari abbandonando l’idea, o l’illusione, che a tutto, alla fine, provvederà lo Stato.
Copyright © Libero per Wall Street Italia, Inc. Riproduzione vietata. All rights reserved