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IMMOBILI: COSI’
I PALAZZINARI HANNO FATTO FORTUNA

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(WSI) – Fino a due anni fa erano (più o meno) emeriti sconosciuti. Oggi sono l´ombelico della finanza italiana: fanno girare centinaia di milioni di azioni in Borsa, si scambiano case e palazzi come figurine Panini, sono l´ago della bilancia nel capitale di quotidiani e grandi banche. Un eterogeneo gruppo di immobiliaristi tra i 35 e i 45 anni, da Stefano Ricucci a Danilo Coppola fino a Giuseppe Statuto (per citare i più illustri) ha chiassosamente invaso il mondo ovattato che fu di Enrico Cuccia. Il loro segreto? Semplice: quel “carburante” che manca a tante dinastie imprenditoriali di casa nostra, i soldi. Ne hanno tanti – molti prestati dalle banche di cui sono soci – e li moltiplicano con apparente facilità.

Il loro patrimonio – calcolando solo quello autocertificato dai tre “big” – è salito dagli 1,6 miliardi di fine 2001 ai 5,6 del 2005. Periodo in cui il mattone italiano è cresciuto del 27%. Come hanno fatto? A sentir loro grazie al fiuto per gli affari. Non sbagliano un colpo, assicurano. Né con gli immobili – grazie a un mercato che con i tassi bassi vola sfidando la logica – né in Borsa. Dove all´insegna del mordi e fuggi hanno guadagnato decine di milioni. Tanto che oggi l´indebitamento dichiarato sarebbe “solo” di 290 milioni per Statuto, 280 per Coppola e 689 per Ricucci.

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Cifre da prendere però con il beneficio d´inventario. Genesi e valore delle loro fortune, infatti, sono affidati all´agiografia ufficiale. Storie di imprenditoria fai-da-te alla Ricucci (primo affare a 19 anni su un terreno della madre, oggi uomo da 1,8 miliardi) o di piccoli imperi familiari ereditati e fatti fruttare. Ma la realtà è nascosta quasi sempre dietro finanziarie nei paradisi fiscali. In via di tardivo trasloco – a miliardi già accumulati – verso la madre patria.

Le radici di queste ricchezze, insomma, affondano nelle sabbie mobili. La loro lievitazione, invece, ha qualche spiegazione: oltre ai blitz in Borsa pesa il boom del portafoglio immobiliare. Un po´ si tratta di acquisti, spesso resi possibili dal rapporto non proprio ortodosso – tra finanziamenti facili e acrobatici leasing – che li lega al mondo bancario. Poi c´è l´attività di trading. Una specie di gioco delle tre tavolette, con gli stessi edifici che passano di mano in mano in tempi stretti moltiplicando strada facendo il valore. Un valzer di “scambi” – simile a quel festival di plusvalenze che ha drogato i bilanci della Serie A – di gran moda anche tra i nuovi “palazzinari”. Che lungo questa catena di Sant´Antonio hanno costruito parte dell´ascesa stellare dei loro patrimoni.

Un caso scuola sono gli 887 immobili ex Enel. Ceduti da Scaroni a Deutsche Bank e Cdc a maggio 2004 per 1,4 miliardi con 200 milioni di plusvalenza. Cinque mesi più tardi Luigi Zunino, uno degli immobiliaristi più esperti a Milano, ne acquista 28 per 223 milioni. Nove finiscono subito a Coppola per 259 milioni. Zunino guadagna 80 milioni (+46%) in 90 giorni con la quotata Risanamento. E arrotonda il tutto girando a Coppola dalle casseforti personali altri immobili Enel per 100 milioni. Hanno venduto a troppo poco Enel e Db o ha speso troppo Coppola? Tutti comunque hanno fatto laute plusvalenze e Coppola ha “rimpolpato” un po´ il patrimonio di Ipi, quotata in Borsa.

Stessi protagonisti, altro carosello di guadagni facili. Zunino compra Ipi da Fiat nel 2003 a 4,7 euro per azione. Due anni dopo Coppola gliene offre 7 (+50%). Ma l´asse tra i due manda in onda un vortice di affari incrociati. Zunino cede parte dell´area Porta Vittoria a Milano a Coppola per 118 milioni. In tutto ricava dai terreni acquistati due anni prima da Fs 80 milioni di plusvalenze (+110%). Bel colpo, ma non il solo. La Ipi rileva dall´ex azionista Zunino per 15 milioni la Frala, padrona di un immobile in Corso Magenta a Milano e di 87 milioni di debiti contratti per acquistarlo poche settimane prima. Coppola si rifà a Roma dove vende a Zunino qualche centinaio di milioni di immobili con 70-75 milioni di guadagno.

Un tourbillon d´affari da far venire il mal di testa. Con una costante: soldi veri che entrano in tasca e patrimoni (con debiti annessi) che si gonfiano a dismisura. Statuto – forse il più “industriale” nella new wave del mattone – lo fa ad esempio con un edificio rilevato da Bonifaci in zona San Marco a Milano e venduto con grandi guadagni dopo rapida ristrutturazione. Poi offre 230 milioni a Modus (Pirelli Re e Morgan Stanley) per un palazzo in piazza San Babila a Milano che Modus aveva comprato due anni prima da Toro. Allora Modus aveva rilevato per la stessa cifra non solo San Babila ma anche altri cinque immobili di grandissimo pregio.

Ricucci stesso, che pure ha preso più gusto a giocare in Borsa che sul mattone, ha costruito parte della sua fortuna su queste operazioni. L´ultima è una sintesi mirabile dell´evanescenza del valore immobiliare e del conflitto d´interessi (che in questo caso non riguarda Ricucci) tra immobiliaristi e banche. A fine 2004 Magiste ha rilevato un edificio in Piazza Durante a Milano che vanta un´odissea da manuale: iniziata nel ´99 quando la lussemburghese Rovema lo rileva per 20 milioni, con un finanziamento Fineco Leasing (Bipop) che due settimane dopo lo valuta già il doppio.

Intanto la stessa Rovema ha firmato un contratto per l´affitto a Bipop a 5,5 milioni l´anno per 18 anni. Riassunto: Rovema paga a Bipop 2,5 milioni l´anno per il leasing ma incassa dalla banca il doppio per la locazione. Per l´intera operazione d´acquisto versa 40 milioni a Fineco ma ne incassa da Bipop 90. Non solo. Bipop paga una ristrutturazione da 40 milioni. Eseguita da società dell´ex azionista della banca Mauro Ardesi. Che secondo le ipotesi dei magistrati di Brescia nel 2002 sarebbe stato anche l´azionista Rovema. Circostanza oggi apparentemente accertata: Magiste ha rilevato la Rovema a luglio 2004 proprio da Ardesi.

Dove si fermerà questa giostra di soldi facili? Il timore è che vada in replica lo spettacolo degli anni 80 e 90. Scoppiata la bolla, a pagare il conto finale dei crac immobiliari sono stati allora banche e risparmiatori. Qualche segnale preoccupante, dicono gli osservatori, c´è già: tra anomale fiammate del settore in Borsa e il debutto dei fondi immobiliari aperti al retail. «Sono strumenti seri e fiscalmente agevolati ma con controlli sui valori dei beni apportati ridotti – spiega Luca Dondi, dell´Osservatorio immobiliare Nomisma – E c´è il rischio che a fianco dei tanti operatori seri arrivi qualcuno a rifilare brutte sorprese al mercato».

I controllori dovrebbero essere le società di certificazione, incaricate di dare un valore a immobili e terreni. Molte di queste, però, sono le stesse che in questi anni hanno avallato senza batter ciglio (a suon di salatissime perizie) questo via-vai del mattone senza logica di prezzo. Un biglietto da visita che non tranquillizza i risparmiatori.

Mattoni e azioni. Tramontati i raider degli anni 80-90, in strategica ritirata le grandi famiglie, Piazza Affari si è affidata negli ultimi mesi ai giovani rampantissimi immobiliaristi di casa nostra per regalare qualche sussulto ai vecchi salotti di Piazza Affari. E loro – Rcs docet – non hanno deluso le attese. Foraggiati a piene mani dalle banche di cui sono azionisti, i tre “big” del settore – Stefano Ricucci, Danilo Coppola e Giuseppe Statuto – hanno investito sul listino in tempi relativamente brevi 2,1 miliardi di euro. Una cifra che vale la metà del loro patrimonio e che li ha messi in prima linea su tutte e tre le partite più calde della primavera finanziaria: Bnl, Antonveneta e Rcs. In due di questo casi (Bnl e Rcs) schierati accanto a un “decano” del mattone come Francesco Gaetano Caltagirone, che forte di 1,4 miliardi di liquidità non ha avuto necessità di affidarsi a pegni o prestiti per puntare sulla Borsa. E in tutte le occasioni (salvo l´enigma Ricucci in Rcs) sul fronte di quelle banche con cui, come azionisti o clienti d´oro, hanno intrecciato le loro fortune e i reciproci interessi negli ultimi anni.

La contiguità tra i nuovi palazzinari e un certo mondo imprenditorial-bancario è fotografata nitidamente dalla relazione della Consob sul “concerto” in Antonveneta. Popolare Lodi ha bisogno di alleati cui affidare l´onere della scalata? Non c´è problema. Si prendono i mezzi della banca (vale a dire i depositi dei clienti) e li si presta a controparti di fiducia. Nelle settimane della scalata alla banca padovana – spiega la Consob – l´esposizione di Fiorani con Coppola (entrato al 2% nella banca) è aumentata da 75 a 450 milioni. Utilizzati nelle consuete vorticose partite di giro per rastrellare azioni Antonveneta per la causa, incassare plusvalenze, pagare degli immobili di Luigi Zunino (entrato a sua volta nel capitale di Padova) e restare in parte nell´azionariato della banca.

I crediti di Lodi verso Ricucci – azionista all´1,77% di Lodi e rimasto fuori dal concerto – sono saliti da 160 a 450 milioni. «Non li ho usati per Antonveneta», ha detto il numero uno della Magiste. Ma visto quello che è successo in Rcs si può forse capire dove siano andati a finire quei soldi. Se la fotografia della Consob fosse estensibile a tutte le avventure azionarie dei palazzinari emergenti, il loro ruolo sembrerebbe quello di “prestanome” di lusso, teste di ponte da far sbarcare in azionariati difficili, da remunerare a suon di plusvalenze oppure con prestiti e leasing facili quando si tratta di fare affari immobiliari.

Negli ultimi tempi del resto non sono mancati né i guadagni in Borsa né la possibilità di qualche lucroso blitz sul mattone. Quando Ricucci – un po´ la stella polare degli immobiliaristi sul fronte azionario – ha iniziato la sua carriera di raider in Borsa nel 2002 con il blitz in Capitalia («Ricucci chi?», disse allora un non lungimirante Cesare Geronzi) ha speso 36 milioni con le azioni costituite in pegno dalla Lodi (di cui all´epoca controllava il 4,9%). Soldi ben investiti, visto che dall´avventura in Capitalia Ricucci è uscito un anno dopo con 130 milioni di guadagni. L´appetito però vien mangiando.

E Ricucci & C. hanno preso gusto alla roulette di Piazza Affari. In Bnl sono entrati tutti, compresi Statuto e Coppola, nel 2003. Lasciando un po´ d´azioni in pegno a Fiorani (vicino al governatore Antonio Fazio, a sua volta schierato con gli immobiliaristi anche sul fronte di via Veneto) e aiutati da due altri nomi ricorrenti nell´intreccio banche-mattone: Bim (di cui Coppola è azionista) e Meliorbanca (che ha tamponato le perdite dell´ultimo bilancio grazie alla vendita della sede milanese al suo ex-socio Ricucci). Lo stesso Coppola ha dato in pegno il 65% di Ipi a Bim. E per finanziare la scalata agli ex immobili Fiat ha ceduto sei palazzi in leasing per 210 milioni a Bipielle Leasing (Pop. Lodi) e Banca Italease, società delle popolari.
I nomi sui possessi dei pacchetti azionari, insomma, sono quelli dei nuovi re del mattone.

Ma i soldi, e molto spesso anche gli interessi, sono quelli delle banche che li tengono in quota. Forse con l´eccezione degli investimenti di Coppola sulla Roma e di Ricucci sulla Lazio, in cui i due sono riusciti a coniugare la fede calcistica con un´operazione di marketing con un´altra fetta del mondo del credito (in quel caso Capitalia).

Resta il fatto che i blitz dei nuovi palazzinari, finora, hanno dato buoni ritorni: a parte quelli “garantiti” in Antonveneta, Ricucci, Coppola e Statuto hanno plusvalenze potenziali per 400 milioni complessivi anche sulle loro quote in Bnl (300 ne ha quella vecchia volpe di Caltagirone). E Ricucci – che in portafoglio, segno dei tempi, ha anche un po´ di titoli Mediobanca – ha accumulato un bel po´ di guadagni anche sulla sua scalata al “Corriere della Sera”. Su cui nelle ultime sedute sarebbe stato affiancato da Statuto.

L´avventura dei palazzinari del terzo millennio in Borsa, insomma, è riuscita a coniugare l´utile – vale a dire gli interessi di un “retroterra” finanziario di riferimento che si è infilato negli spazi lasciati liberi dalla vecchia Mediobanca – con il dilettevole di laute plusvalenze. Buone da monetizzare se (e quando) scoppierà la bolla immobiliare. Se non si sarà riusciti per tempo a lasciare il cerino sul fronte del mattone in mano alla Borsa, ai risparmiatori o a quelle stesse banche cui in fondo fino a oggi i re del mattone hanno dato una bella mano.

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