(WSI) – Si è già aperta la corsa a chi potrà dichiarare, per primo, di essere uscito dalla crisi globale più lunga ed estenuante dai tempi della Seconda guerra mondiale. Sempre che non abbiano ragione coloro che intravedono per le maggiori economie ancora una lunga traversata nel deserto, tutta da percorrere.
Il settore finanziario resta in crisi d’identità, zeppo di asset illiquidi, anche se vi è qualche piccola schiarita sul fronte degli utili. Ma, ancora una volta, sono i governi a dover far la parte del leone, dopo essere stati protagonisti, a fianco delle banche centrali, di un’opera di salvataggio all’ultimo respiro delle istituzioni di credito impantanatesi nelle sabbie mobili dei subprime loan e dei titoli di tutta la finanza derivata. La Cina è sicura di farcela, gli Stati Uniti giocano la carta cubana, ma inciampano nella questione iraniana, salvo attendere con la clessidra il conto alla rovescia degli stress test sulle banche.
Ed ecco che quindi, a sorpresa, sono i Paesi del Medio Oriente che rivendicano il diritto di un primato, riorganizzando i mercati finanziari, investendo pesantemente sui loro mercati domestici e stringendo nuove alleanze per consolidare il ruolo geopolitico dopo la recente ospitata alla riunione del G20. Ma è tuttavia una rincorsa fatta di luce e di ombre, come tutto lo scenario mediorientale. A dimostrarlo anche l’ennesima esternazione «inqualificabile» del presidente iraniano al Congresso Onu sul Razzismo, Durban II. Attacco del resto prevedibile e subdolo contro l’Occidente, e per questo da non sottovalutare per gli effetti di discredito che getta sulla stessa Onu. Ma il Medio Oriente non è l’Iran e vive di realtà eterogenee e che si affacciano ai mercati finanziari con grande entusiasmo.
VOLTARE PAGINA. L’Iraq, ad esempio, ha appena inaugurato un nuovo sistema di trading elettronico in Borsa, per ora soltanto su 5 delle 91 società quotate. Dopo tre anni dedicati al rafforzamento dell’impianto tecnologico, è finalmente così arrivato il debutto con i nuovi terminali e l’opportunità in tempi molto brevi a essere collegati ai circuiti internazionali, visto che a oggi gli investitori esteri sono presenti per una quota assai ridotta dei volumi.
Chi invece deve ringraziare un impianto organizzativo già ben rodato è la Borsa pakistana , al quarto posto nella classifica delle Top10 tra le principali Borse mondiali, che sfiora un 30% di performance da inizio anno e riprende la corsa verso i massimi toccati proprio un anno fa. Gli aiuti del Fondo monetario internazionale per 7,6 miliardi di dollari, unitamente a quelli dei «donors», per circa 15 miliardi di dollari, per la lotta contro Al Qaeda e gli altri gruppi militanti fondamentalisti operanti nel Paese sono ingenti, ma il governo di Islamabad deve ancora dimostrare il giusto impegno nelle riforme strutturali e nella lotta al terrorismo che si richiede. Si tratta in ogni caso di una montagna di soldi per arrivare a ricostruirsi un ruolo cruciale nell’area, forte ovviamente delle dotazioni belliche e del supporto americano.
A completare il quadro troviamo gli Emirati, che serrano le fila recuperando credito dopo i tentennamenti di Dubai sulla bolla immobiliare locale, rientrata grazie all’intervento di Abu Dhabi. Così gli investimenti della Dubai World, la General Electric del Medio Oriente, sono ripresi e adesso si estendono a livello globale, mentre in generale gli investitori del Golfo Persico si organizzano raccogliendo oltre 10 miliardi di dollari per lanciare una nuova banca islamica, la Istikhlaf Bank, che verrà quotata prossimamente alla Borsa di Bahrain.
D’altronde, in soli tre mesi, il boom delle Ipo in Medio Oriente ha raggiunto il totale dei volumi di tutto il 2008. In particolare, l’Arabia Saudita torna a cavalcare il potenziamento della finanza islamica a fianco degli altri Paesi islamici e lanciando un ponte verso l’Asia, in specifico verso Indonesia e Malesia, come ha dimostrato il successo della recente emissione sovrana «sukuk». Insomma, la rincorsa al sorpasso asiatico è iniziata ma nel prossimo meeting della Lega araba un monito severo all’Iran diventerà cruciale per gli equilibri dell’intera area mediorientale. Anche perché la differenza di razza è diventata la nuova arma politica, dopo le armi e il petrolio, sicuramente la più subdola e inaccettabile in quanto mina le fondamenta della convivenza civile e poco ha a che fare con un sano e virtuoso sviluppo economico sociale che dovrebbe guidare l’uscita dalla crisi.
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